Un frullatore chiassoso ed energico in cui surreale, comico e grottesco si mescolano a ritmi frenetici: Giuseppe Scoditti ha messo in scena all’AncheCinema di Bari una nuova versione della stand up comedy “1 e 95”

L’AncheCinema di Bari da qualche anno, grazie alla direzione di Andrea Costantino, si propone come ricco contenitore culturale, con una offerta che spazia dalla prosa alla musica, dal cabaret alla commedia brillante. Varie le rassegne e, tra queste, quella dedicata alla Stand up comedy, nata in America verso la fine degli anni 50 con personaggi del calibro di Lenny Bruce e ormai solida realtà dei nostri palcoscenici (citiamo lo Zelig ma ormai non si contano i luoghi dedicati ad un genere che non può più definirsi di nicchia).

Se la stand up si confà meglio ad una atmosfera più intima, che favorisce il contatto tra comedian e pubblico, posti alla stessa altezza e prossimi, i numeri, almeno in questa occasione, danno ragione all’uso della grande sala, piena di fan di Giuseppe Scoditti, barese di origine e di tempra, migrato per frequentare la Paolo Grassi a Milano e pendolare per cuore e indole.

Dopo il suo “Paolo Sorrentino vieni, devo dirti una cosa” (del 2022), con cui di recente ha girato l’Italia con meritato successo (al Kismet lo scorso dicembre e in questi giorni sul prestigioso palco del Teatro Franco Parenti di Milano), Scoditti ripropone in questa occasione “1.95“, il monologo che ha debuttato proprio a Bari nel 2020, scritto insieme a Ludovico D’Agostino, per una coproduzione Teatri di Bari/Elsinor.

Il titolo gioca sulla sua considerevole altezza, con esilaranti implicazioni e conseguenze, (il comico “più alto d’Italia”), una autodichiarazione che ci viene chiesto di assumere come veritiera, necessaria premessa dello spettacolo. Un monologo che conserva una struttura di base, una solida ossatura con innesti e variazioni legati al pubblico, alla serata, al contesto.

Il comico in smoking arriva sul palco vuoto e lo riempie immediatamente con una fisicità invadente e una gestualità frenetica, come il personaggio di un cartone animato o di un fumetto, eccessivo e chiassoso, energico, surreale. Se in “Paolo Sorrentino, vieni…” si alternavano registri diversi con risvolti anche malinconici e intimi (ma parliamo di uno spettacolo strutturato, con musica ed inserti visivi), qui la cifra è quella dello sberleffo, dell’ironia e dell’autoironia, del dialogo e della provocazione, con un pubblico che viene continuamente pungolato e sollecitato, alla ricerca di complicità.

In una specie di frullatore vengono inseriti temi diversi: i corsi di inglese, lo spettacolo nel centro sociale, l’aggressione del proprio cane: tutto è pretesto per raccontare, per scovare il lato comico e grottesco della realtà. Tutto, ci dice in fondo Scoditti, può essere letto e affrontato con quell’ironia che alleggerisce anche i carichi più pesanti, che consente di vivere con un po’ di leggerezza anche i momenti difficili.

Perciò si ride, di noi stessi e della realtà che ci circonda. Si partecipa, si risponde alle provocazioni che arrivano dal palco. Il ragazzo in smoking (fatto su misura, dal costo esagerato) ha la sua forza nell’atteggiamento giocoso e quasi beffardo, con una cifra stilistica assolutamente godibile, originale, personale e riconoscibile.

Imma Covino
Foto dal web

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