Il teatro come medicina dell’anima: si è chiusa con il coinvolgente “Art” di Jasmina Reza, messo in scena dalla “Compagnia La Cricca”, la XXIII Stagione di prosa del Teatro Angioino di Mola di Bari curata da Francesco Capotorto

Mi è capitato ultimamente di frequentare piccoli teatri, e ho scoperto presidi di passione, tenacia e resistenza.

I piccoli teatri qualche volta sono polverosi e scalcinati, ma spesso raccontano storie umane e professionali bellissime. Si reggono sulla fedeltà di un gruppo di abbonati che sono il nocciolo duro, la famiglia che si forma per condivisione, amore e fiducia per il teatro e per chi ne cura la direzione artistica. Vanno avanti per l’ostinazione, la determinazione, la capacità di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Qualche volta i piccoli teatri sono l’unico palcoscenico possibile per compagnie giovani, attori esordienti, linguaggi diversi e non codificati. Se ne esce stupiti, perplessi, contrariati, esaltati. Qualche volta sono officina, qualche volta dimora confortevole per professionisti in disarmo. Ci sono piccoli teatri che si identificano con una persona, destinati a morire con lei, luoghi di autocelebrazione, unico palcoscenico possibile per attori stanchi: una specie di comitiva, come quelle della nostra adolescenza, che si riunisce sempre nello stesso posto un po’ per abitudine, un po’ per pigrizia, un po’ per trascorrere una serata in compagnia. Ci sono poi teatri che osano, che cercano, che rischiano. Teatri curiosi, per nulla intimoriti dai fratelli maggiori che possono permettersi il nome in cartellone, e che qualche volta programmano stagioni “sicure” (anche belle, per carità!), di quelle che assicurano sale piene e sold out.

Non conoscevo il Teatro Angioino di Mola di Bari, a ridosso della piazza principale. Due lampioni dalla luce fioca ai lati di una insegna dal gusto antico, in una stradina buia. Dentro, tutto parla di una bellezza un po’ sfiorita, di un fascino appannato dal tempo. Ma il teatro è pieno, e non è neanche tanto piccolo. Si sente intorno un sottile fermento. La gente arriva e posso distinguere gli spettatori occasionali, convenuti per curiosità e specifico interesse, dal manipolo di fedelissimi. Nei piccoli teatri, che qualche volta sono anche “teatro di quartiere”, la gente si conosce, si saluta, si accomoda con semplicità. Il teatro è comunità, e un po’ dispiace di essere lì per caso, di non far parte della famiglia.

È l’ultimo appuntamento della XXIII Stagione di prosa curata dalla Compagnia Teatro d’Oggi, con la direzione artistica di Francesco Capotorto, che ha visto spettacoli brillanti alternarsi a grandi classici, tutti proposti da compagnie della nostra regione.

Questa sera, sul palcoscenico, la Compagnia La Cricca di Taranto mette in scena Art, scritto nel 1994 da una penna felice del teatro contemporaneo, Jasmina Reza (classe 1959), drammaturga, attrice e sceneggiatrice francese, pluripremiata in patria e altrove (porta la sua firma, giusto per dire, “Dio del Massacro” – “Carnage”, nella versione cinematografica di Polanski).

Art è una storia che parte in sordina, come spesso capita nei lavori della Reza, e poi è tutto un crescendo di ritmo, parole, gesti ed emozioni. Le note di regia efficacemente sottolineano una progressione che porta alla “perforazione delle sensibilità e allo sgranamento delle amicizie, senza guanti, a mani nude e a voce alta”.

Aldo L’Imperio firma una regia brillante e incisiva, che esplicita tutta la bellezza e la forza del testo. La trama è semplice: Marco e Sergio sono amici da una vita. Il primo è un ingegnere aeronautico, con un carattere rigido e senza mezze misure, che di questo essere contro quasi si compiace. L’altro è in un momento delicato della sua vita: dermatologo, benestante, divorziato da poco, è inconsapevolmente alla ricerca di un nuovo equilibrio, dell’affermazione di un nuovo “sé”.

Tra i due, un passo indietro rispetto alle loro personalità forti, Ivan. Mite, silenzioso, mediatore per natura, un resiliente che non decide, non sceglie ma si adatta, si adegua, gioca di rimessa. Sergio acquista per una cifra stratosferica un dipinto del famoso maestro Antrios, di fatto una tela bianca. Sergio ne è orgoglioso, Marco non riesce a credere che si possano sborsare 60.000 euro per qualcosa che proprio non riesce a considerare un’opera d’arte. Ivan, chiamato a fare da paciere, viene coinvolto suo malgrado nell’inasprimento dei toni: gli si chiede di prendere le parti dell’uno o dell’altro, e alla fine diventa incolpevole oggetto della rabbia di entrambi. Se all’inizio il contrasto riguardava una spesa esorbitante, ben presto, in un crescendo serratissimo, entrano in crisi i rapporti umani, si svelano antichi rancori, compromessi, silenzi e nevrosi.

Fra confessioni scomode, recriminazioni, invidie, si smonta quell’amicizia goliardica che sembrava intoccabile. Si tenterà, alla fine, una ricomposizione, un nuovo compromesso che permetta di superare le tre solitudini, di ricucire i rapporti con piccole reciproche concessioni. Se non sarà possibile il ritorno alla situazione di partenza, in qualche modo si cercherà un rattoppo, una via di uscita.

Art è una pièce che si regge sostanzialmente sui dialoghi e sulle capacità attoriali dei protagonisti. A fronte di una trama che, come abbiamo visto, è abbastanza semplice, sono fondamentali il ritmo e la gestualità. Efficaci e convincenti sono in questo senso Gionata Russo (Marco) e Giuseppe Nardone (Sergio), entrambi tarantini e già incardinati nella Compagnia. Ma a sorprendere è il debuttante (si fa fatica a crederlo) Brian Torres, colombiano, vincitore proprio con Art del premio Miglior Attore non protagonista al XIV Festival Internazionale del Teatro Amatoriale Premio “Marcello Mascherini” 2023. Torres ruba la scena, invade il palcoscenico, suscita risate e fa da contrappunto ai caratteri più contenuti degli altri due personaggi. Che sia “non protagonista” è una bugia, ma noi fingiamo di crederci perchè di sicuro merita questo premio, e la sua è una interpretazione travolgente, una maschera molto ben disegnata.

Ecco, quando parlavo della bellezza dei piccoli teatri, mi riferivo proprio alle esperienze simili a quella del Teatro Angioino. Una serata piacevole, divertente, con uno spettacolo ben costruito, ben recitato, che trasuda impegno e passione, al di là di eventuali piccoli difetti. Mi vengono in mente almeno un paio di spettacoli visti di recente in teatri più blasonati, in cui gli attori arrancavano, saltavano pezzi di copione per problemi di memoria (o seminavano il palco di fogli dai quali leggere), si affidavano alla battuta grassa per coprire il vuoto del testo. Questo spettacolo me lo tengo stretto, insieme agli altri (tanti, in verità!) che in questa stagione mi hanno ricordato perché amo il teatro e lo considero medicina dell’anima.

Imma Covino
Foto di Sabino Guardavaccaro
dalla pagina Facebook

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.