Quando il buio della notte è immagine del buio dell’anima: la Compagnia Diaghilev scrive una bellissima pagina di teatro alla Vallisa di Bari con la sua versione di “Lungo viaggio verso la notte”, il capolavoro di Eugene O’Neill, diretta da Giuseppe Marini

A Carlotta, nel dodicesimo anniversario del nostro matrimonio

Carissima, ti offro il manoscritto originale di questo dramma d’un’antica pena, scritto con le lacrime e col sangue. In una ricorrenza così lieta può sembrare un dono triste e inopportuno. Ma tu capirai. Te lo offro come contributo al tuo amore ed alla tua tenerezza, che seppero infondere in me la fede nell’amore ed il coraggio di affrontare alfine i miei morti e scrivere questo lavoro con profonda pietà e comprensione e desiderio di perdono verso tutti e quattro i tormentati Tyrone. Mia amata, questi dodici anni sono stati un viaggio verso la luce, verso l’amore. Tu sai quanto ti sono grato, e quanto ti amo. Gene Tao House, 22 luglio 1941.

Con queste parole vede la luce Lungo viaggio verso la notte, uno dei massimi capolavori del teatro statunitense del Novecento, portato in scena per la prima volta nel 1956, tre anni dopo la morte del suo autore, premio Pulitzer postumo (1957) per la drammaturgia. In verità Eugene O’Neill aveva vincolato la sua casa editrice in modo che il dramma potesse essere rappresentato non meno di 25 anni dopo la sua scomparsa ma,  trasferendo i diritti all’università di Yale, la vedova Carlotta Monterey (terza moglie e dedicataria dell’opera) riuscì ad aggirare l’ostacolo per consentirne la messa in scena prima del tempo stabilito. Il perché del vincolo si comprende facilmente. “Lungo viaggio verso la notte” racconta le miserie fisiche e morali della famiglia Tyrone, e i riferimenti dell’autore alla propria famiglia sono più che evidenti: nomi identici o simili, ambientazione, tare e malattie… tutto rimanda alla sua dolorosa storia familiare. James O’Neill, suo padre, attore di successo in gioventù, era rimasto imprigionato nel ruolo di protagonista di una fortunata riduzione teatrale de Il Conte di Montecristo (più di seimila repliche). Suo fratello Jamie era alcolizzato, come il suo omonimo nel dramma. La madre Mary aveva vissuto anni di fervente cattolicesimo in un collegio dell’Indiana e infine Eugene stesso aveva viaggiato a lungo e sofferto di tubercolosi come Edmund, il figlio minore, ed era stato internato per diversi mesi in un sanatorio. Rapporti conflittuali, ambivalenze emotive, lutti che generano turbe, invidie feroci, una cupa idea di fede, schiacciante e opprimente. Una famiglia disfunzionale, nella quale certo non doveva essere stato facile vivere, con un modello che O’Neill aveva drammaticamente replicato nella sua vita segnata da amori e divorzi, fughe in cerca di avventure, alcol, fragilità fisiche e psicologiche.

Lungo viaggio verso la notte” si svolge nell’arco di una giornata nella casa in campagna (in Connecticut) dei Tyrone, nell’agosto del 1912. Il viaggio è lo svelamento dei drammatici rapporti familiari, con i quattro personaggi che si accusano a vicenda dei torti subiti, dei gesti d’amore negati, del fallimento delle loro vite. Il viaggio è anche e soprattutto il loro precipitare nell’angoscia e nella disperazione, senza alcuna possibilità di salvezza. Se all’inizio della giornata aleggia il timido tentativo di tenere in vita una parvenza di serena convivialità, una pur vaga speranza di poter affrontare i problemi che aleggiano e pian piano prendono forma, ben presto emergono antichi rancori e si assiste ad un progressivo sprofondamento nella più completa disperazione, nella follia, nel delirio.

Il buio della notte è immagine del buio dell’anima.

Un testo denso, complesso ma incredibilmente intrigante, messo in scena dalla Compagnia Diaghilev presso l’Auditorium Vallisa di Bari, che Paolo Panaro ha ridotto per questa produzione con una grande sapienza di scrittura che nulla ha tolto allo spirito dell’originale, conservando intatti gli equilibri e le tensioni sottostanti. La regia illuminata di Giuseppe Marini ha come sempre dato equilibrio e armonia all’interazione tra i personaggi e agli spazi scenici. Si è già detto con riferimento ad altre produzioni che uno dei meriti della Compagnia è quello di trasformare la criticità dello spazio ridotto in una opportunità e addirittura in un punto di forza, e anche qui si è ripetuta la magia di portare gli attori tra il pubblico, questa volta con una forte prossimità che ha reso particolarmente emozionante assistere allo spettacolo. Grazie anche alle luci di Gianni Colapinto e alle musiche originali di Paolo Coletta, i tempi e le emozioni sono efficacemente scanditi e sottolineati, mentre il periodo in cui si svolge il racconto è ben inquadrato dai costumi di Michele Giannini. Sul palco quattro attori, i quattro membri della famiglia Tyrone, tutti ben disegnati dal testo originale, dall’adattamento e dal taglio dato dalla regia. A ciascuno viene regalato un monologo che svela il personaggio, ma anche le qualità attoriali dei protagonisti e la coerenza della recitazione. Andrea Simonetta è Edmund, alter ego di O’Neill. Se da un lato è convincente nel vestire la fragilità e la tenerezza del suo personaggio, in alcuni momenti lo avremmo voluto più espressivo nei contrappunti, in particolare quando la sua presenza sul palco lo designa quale spettatore della confessione o della riflessione altrui. Francesco Lamacchia è un rancoroso Jamie, inconcludente, alcolizzato e sospeso tra amore e odio nei confronti di suo fratello. I toni accesi della sua recitazione ritrovano equilibrio e misura nel monologo in cui svela a se stesso e a Edmund l’ambivalenza dei suoi sentimenti. Di Carla Guido non dimenticherò gli occhi e le mani. La prossimità degli attori permette di cogliere sussurri e impercettibili gesti: lo sguardo vitreo di Mary, il tremore delle sue mani e il loro torcersi, la capacità di raccontare la progressiva discesa nella follia senza dover ricorrere, se non eccezionalmente, ad una recitazione sopra le righe, tutto questo da vita ad un personaggio che la Guido sembra abitare (più che interpretare), emozionante e assolutamente coerente nell’incoerenza della sua follia. E altrettanto emozionante è Paolo Panaro, in un ruolo solo apparentemente “monolitico”. James Tyrone viene svelato piano piano, ed è forse il personaggio che più degli altri cambia nella percezione del pubblico. L’avarizia che gli viene contestata sin dalle prime battute, l’attaccamento alla proprietà, la frustrazione di un lavoro che non si è articolato come aveva immaginato e che lo ha reso amaro e disilluso, tutto trova spiegazione nel momento in cui James Tyrone si siede sulla sedia a dondolo (luogo in cui la verità dei personaggi viene svelata) per raccontare la storia della sua infanzia, fatta di privazione, miseria, fame. L’uomo la sussurra, la rivive e la ripercorre con un dolore profondo ma composto e in qualche modo “costretto”. Panaro in questo processo è assolutamente coerente e convincente. Per tutto il pubblico, raccolto nell’ascolto, un momento di intensa emozione, vissuta quasi col fiato sospeso.

Lungo viaggio verso la notte” è un atto coraggioso, una sfida vinta. Non regala risposte ma suscita domande. Non porta pace ma dubbi. E scrive una bellissima pagina di teatro.

Imma Covino
Foto di Vito Mastrolonardo (tranne ove riportato)
per gentile concessione della Compagnia

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2 commenti su “Quando il buio della notte è immagine del buio dell’anima: la Compagnia Diaghilev scrive una bellissima pagina di teatro alla Vallisa di Bari con la sua versione di “Lungo viaggio verso la notte”, il capolavoro di Eugene O’Neill, diretta da Giuseppe Marini

  1. Angela Fabrizio Rispondi

    Interessante e gradevole lettura, che induce ad interesse culturale e psicologico dell’opera, che mi è ancora ignota, non come l’autore. Grazie. EWWWIWA teatro, che lo ama, chi lo interpreta, chi lo regala

  2. Giusy Ruggieri Rispondi

    Sulle ‘CAPACITÀ ‘di Carla Guido nei monologhi si potrebbe scrivere tantissimo.
    La sua intensità fa si che ,sul palcoscenico, la sua aurea risplenda più della luce dei riflettori.
    Grazie per aver scelto un’opera così attuale nel descrivere i meccanismi familiari .

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