La Compagnia Diaghilev diretta da Paolo Panaro mette in scena alla Vallisa di Bari la sua versione amaramente disincantata ed ironicamente beffarda del capolavoro di Luigi Pirandello “Pensaci, Giacomino!”

Mi lasci stare! non mi faccia dire! Come non capisce che certe cose si possono fare solo di nascosto, e non son più possibili alla luce, con lei che sa, con tutta la gente che ride? (Giacomino)

Nelle pagine di Pirandello capita spesso che il protagonista attraversi un momento di svolta in cui, rendendosi conto della realtà in cui si trova, decide di ribellarsi all’equilibrio precario di una normalità solo apparente. Si toglie allora la maschera, si ribella alle convenzioni sociali, in un misto di solitudine e dolore che lo accompagnano prima e dopo. Se è vero che i ruoli codificati lo paralizzano, è altresì evidente che il loro sovvertimento lo pone al di fuori dell’ordine costituito, della mentalità comune, e lo condanna all’incomprensione e al dileggio. Abbiamo allora i vinti, o i contestatori ostinati e beffardi, o infine coloro in cui lo svelamento della verità porta alla pazzia: in ogni caso, alto è il prezzo da pagare per questa verità.

Anche il professor Toti è a un punto di svolta. È anziano, stanco, incompreso e deriso dai suoi alunni, spinto verso la pensione dal suo direttore che lo giudica incapace di guidare una classe. Persino il custode della scuola gli manca di rispetto. Nell’estremo tentativo di ribellarsi ad uno Stato che lo umilia con un lavoro poco apprezzato e mal retribuito, decide di prendere moglie, lui che nella sua lunga esistenza ha sempre vissuto da solo, e anzi di sposare una donna povera, bisognosa e soprattutto giovane, che possa perciò godere per molti anni della pensione di reversibilità. È il suo modo bizzarro di ribellarsi, di alzare il capo quasi per il gusto di uno sberleffo, ma ben presto si ritrova in una situazione più grande e più difficile. La ragazza che ha scelto, Lillina (figlia del bidello della sua scuola) oltre che povera è innamorata di un giovane scapestrato, Giacomino Delisi, ex alunno del professore, e aspetta un figlio da lui. La situazione dunque si complica, ma qui il professor Toti fa un nuovo passo, una nuova scelta: sposerà comunque la giovane donna, crescerà il figlio in arrivo come se fosse suo, e addirittura negherà a se stesso il ruolo di marito lasciando che Giacomino frequenti la sua casa (mentre lui è a scuola) e viva la relazione con quella che per lui sarà solo nominalmente sua moglie. Dopo il matrimonio, una inaspettata eredità lo renderà benestante e gli darà la possibilità di far assumere Giacomino nella banca in cui ha depositato il suo denaro.

È una famiglia non convenzionale, certo, ma formalmente risponde ai canoni imposti dalla società che, tuttavia, si scandalizza e mormora. Mormorano i genitori di Lillina, mormora il direttore della scuola incalzato dai genitori degli alunni, mormora la sorella di Giacomino che cerca di sottrarlo a questa situazione con l’aiuto di don Landolina, utilizzato come intermediario per chiedere per suo fratello una sorta di lettera di referenze che testimoni la sua dirittura morale. Ma il professor Toti non torna indietro. Protegge e difende un’idea di famiglia che si nutre di amore e rispetto e che richiede un’assunzione di responsabilità non solo da parte sua che, per età e carattere non è scalfito dalle dicerie della gente. La fedeltà alle proprie scelte, l’adesione al patto sono il forte monito che egli rivolge al giovane Giacomino, che vacilla davanti alle mormorazioni e alla morale comune, fragile e manipolabile dalle mani pragmatiche di sua sorella. In un contesto in cui gli sono ostili gli stessi genitori della ragazza (che quasi avrebbero preferito il disonore a questa specie di ménage à trois), come anche il prete, rappresentante di una Chiesa che giudica restando fuori dalla vicenda umana, il professor Toti resta fermo nella difesa del suo concetto di famiglia, che da un lato è finta (pur rispettandone esteriormente le caratteristiche) ma dall’altro è luogo di affetti autentici e responsabili. La sua non è una deriva senile: a guidarlo è un profondo rigore etico, una coerenza granitica.

Pensaci, Giacomino! nasce come novella nel 1910 e, solo dopo alcuni anni, Pirandello elabora il testo teatrale, prima in dialetto siciliano (su richiesta del popolare attore Angelo Musco, che la porterà in scena e sarà anche protagonista della versione cinematografica del 1936) e poi in italiano. Turi Ferro, Ernesto Calindri, Sergio Tofano e da ultimo Leo Gullotta: in tanti hanno vestito i panni del professor Toti dando al personaggio sfumature diverse. Personalmente ricordo con emozione Salvo Randone, anziano e malato ma sublime nel tratteggiare l’amarezza, il disincanto, la stanchezza dell’uomo che tuttavia non arretra di fronte alle sollecitazioni, che lo vorrebbero far rientrare nell’ordine lineare delle cose, e che impone con pacata fermezza il proprio codice morale.

Diverso è il taglio dato al personaggio da Paolo Panaro, regista e interprete principale della pièce in scena all’Auditorium Vallisa di Bari nell’ambito del cartellone Teatro Studio 2023-24.

Va in scena una commedia intrisa di una comicità grottesca, in cui forte è l’accento caricaturale di alcuni personaggi (si pensi alla madre di Lillina, interpretata da Monica Veneziani, o ad Alessandro Epifani, un don Landolina ipocrita e mellifluo). Lo stesso Panaro sottolinea la vena comica, ancorché amara, e dà al suo personaggio il disincanto, l’ironia beffarda, la capacità di condurre con energia il suo proposito. Convincente Valeria De Santis nel doppio ruolo di Lillina e di Rosaria, sorella di Giacomino (doppio ruolo anche per Epifani che veste anche i panni del severo direttore del liceo). Infine Francesco   Lamacchia è il custode della scuola, padre della giovane donna, e Antonio Carella interpreta un fragile e immaturo Giacomino.

Come sempre, anche in questa pièce, la compagnia Diaghilev offre un lavoro accurato nella recitazione e sostenuto nel ritmo che non rallenta mai e anzi accelera nel finale. I personaggi sono ben tratteggiati e credibili, anche se si rileva qualche perplessità nella scelta di far esprimere con dialetti diversi tra loro i genitori di Lillina, lì dove forse sarebbe stato più coerente optare per una lingua comune. Per la sua stessa struttura, il Teatro Vallisa pone una serie di limitazioni agli attori che però superano brillantemente i problemi trasformandoli in punti di forza dello spettacolo. La stessa scelta di recitare anche tra il pubblico diventa un’occasione di  prossimità coinvolgente ed emozionante. Belli come sempre i costumi di Francesco Ceo, perfettamente coordinati ai tempi, ai luoghi e al contesto della commedia. Discreta e delicata ma efficace la sottolineatura musicale e abile il gioco di luci che aiuta a superare i problemi legati agli esigui spazi del palcoscenico.

Imma Covino
Foto dalla pagina Facebook della Compagnia

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