Liberarsi dal cinismo della vita ridendo delle nostre paure: Tiziana Schiavarelli e Dante Marmone regalano buonumore con il remake del loro cavallo di battaglia “Il fantasma”

Ogni uomo è in potere dei suoi fantasmi fino al rintoccare dell’ora in cui la sua umanità si desta.” (William Blake)

In tempi oscuri come quelli che ci è dato in sorte di vivere, fa bene, di tanto in tanto, lasciarsi avvolgere da un senso di appartenenza, sentirsi parte di un popolo o, meglio, di una tribù che, ad intervalli pressoché regolari, sembra non poter fare a meno di riunirsi per farsi risvegliare, sollazzare, pungolare, stimolare e, principalmente, per farsi un bel mucchio di sanissime risate. Dalle nostre parti, e soprattutto nel periodo delle festività natalizie, non vi è dubbio che i nomi di Dante Marmone e Tiziana Schiavarelli siano, sin dalle indimenticabili origini dell’Anonima G.R., sinonimo di soddisfacimento di questo primordiale desiderio, se non bisogno, come è puntualmente accaduto anche quest’anno a Bari, prima al Teatro Piccinni e poi all’AncheCinema, entrambi puntualmente e quotidianamente pullulanti di divertito pubblico, per le repliche dello spettacolo “Il fantasma”.

Scritto anni or sono a quattro mani da Dante e Tiziana, che, ça va sans dire, lo interpretano con la partecipazione di Brando Rossi, “Il fantasma” è ormai un cavallo di battaglia, un’icona del Marmone/Schiavarelli-pensiero, un lavoro che, da solo, può spiegare l’intero universo di questi due Artisti, il loro sguardo sempre ironico che, in questo caso, mirava a colpire credenze e superstizioni popolari, generando una – nient’affatto datata – fotografia di un’umanità sprovveduta, credulona e sempliciotta, votata, nel solco della tradizione collodiana, a soccombere sotto i colpi del Gatto e della Volpe di turno, salvo cercare ed ottenere un risarcimento sovrannaturale.

Se Rossi, nel ruolo del marito fedifrago, si conferma ottima spalla, ruolo che va sempre più perdendosi e che, al contrario, dovrebbe essere coltivato nelle scuole di teatro, tocca a Marmone, armato solo della sua improbabile fisicità, della sua riconoscibilissima cadenza popolare e di strampalati abiti ed accessori di scena che ne divengono le protesi, il mezzo attraverso cui lo smilzo corpo dell’attore si offre al rito teatrale, diventare la scheggia impazzita della pièce, così da produrre una serie innumerevole di roboanti esplosioni di risate finanche con la sola mimica o con l’emissione di un insignificante verso, districandosi nel triplice truffaldino ruolo del ghostbuster, dell’esorcista e del fantasma del titolo (che nelle fattezze ricorda sempre più la nonna di “Catene”), scoprendo di volta in volta i suoi personaggi, incontrandoli, lasciandosene attraversare, in un paradossale ed incalzante gioco al massacro ed al rialzo in cui la posta cresce in modo esponenziale, lasciando che gli aspetti più abietti e meschini dell’essere umano emergano in modo esplosivo, pronti a sommergere lo spettatore come un liberatorio tsunami.

Tra, e spesso sopra, i due, si staglia superba Tiziana Schiavarelli, padrona assoluta del palco e di qualsivoglia artifizio della finzione scenica, capace di catturare indissolubilmente l’attenzione del pubblico con la sua sublime Arte attoriale, animata da una ciclopica forza espressiva che non tarda a farsi arlecchinesca, con quella dizione ‘pugliesemente’ imperfetta che, in un vortice di parole inarrestabile ed infinito, riaffiora a tradimento suscitando nel pubblico vere ovazioni; senza il suo irrinunciabile apporto, l’accattivante scrittura verrebbe, forse, degradata ad una gigantesca quanto relativa improvvisazione e non – come, viceversa, in realtà è – ad un lavoro di tessitura, operato negli anni assieme al fido Dante, in cui anche il turpiloquio diviene spassoso suppellettile, una naturale allocuzione proferita senza che vi sia modo di offendersi, a meno di dimostrare atavica ottusità ed assoluta difficoltà di abbandonarsi alle giullaresche intemperanze del fantastico Duo del nostro teatro, cui occorre invece consegnarsi, così da poter – anche qui, di tanto in tanto – riabbracciare il primigenio fanciullino, quell’irriverente, popolano, folle folletto che dimora nella nostra stessa natura di figli dei vicoli baresi, ma che preferiamo tener stipato nella più profonda voragine del nostro ‘acculturato’ spirito magari per celarlo agli occhi degli altri, che ritrova finalmente la forza di mostrarsi per – come gli stessi Schiavarelli e Marmone auspicano – liberarci dalle paure dei fantasmi e dal cinismo della vita.

Pasquale Attolico
Foto di Rita Lopez

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1 commento su “Liberarsi dal cinismo della vita ridendo delle nostre paure: Tiziana Schiavarelli e Dante Marmone regalano buonumore con il remake del loro cavallo di battaglia “Il fantasma”

  1. Dante Marmone Rispondi

    Grazie. Colpito nel segno. La nostra comicità nasce dalla satira e dalla ironia come arma di difesa e d’attacco contro le prepotenze dei potenti. I Romani dicevano: “In cauda venenum”, ” Il veleno è sempre in coda”. Io dico: “Dulcis in fundo”, cioè, alla fine trovi sempre il dolce della vita!

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