Possente, esplicito, spiazzante, ma sempre coinvolgente il capolavoro di Richard Wagner “Tannhäuser” andato in scena nel cartellone d’Opera 2023 della Fondazione Teatro Petruzzelli nella versione dell’Hessisches Staatstheater Wiesbaden

La musica non esprime la passione, l’amore, la nostalgia di questo o quell’individuo in questa o quella situazione, ma la passione, l’amore, la nostalgia stessa. La musica è la lingua della passione.” [Richard Wagner]

Nel frenetico ritmo di vita che ci siamo imposti, pare impossibile potersi affrancare per circa quattro ore consecutive, sfuggire alle morse degli impegni, nascondersi al mondo per il nostro solo personalissimo piacere. Eppure ci sono ancora frangenti in cui il tempo non può contare, così come i minuti non possono essere contati, ma occorre lasciarli scorrere e trascorrere senza fretta o ansia, quasi senza allinearli, restando sospesi in un avvolgente e rassicurante limbo, in una dimensione atemporale ove è possibile condividere appieno un’emozione.

L’inserimento nell’annuale cartellone d’Opera della Fondazione Teatro Petruzzelli del monumentale capolavoro di Richard WagnerTannhäuser nella versione dell’Hessisches Staatstheater Wiesbaden è, in fondo, tutto questo, ma è, anche e soprattutto, un’audace scommessa mirabilmente e senza alcun dubbio vinta, frutto del consolidato e rinnovato percorso collaborativo tra il nostro Politeama ed il citato prestigioso Teatro d’Opera tedesco, che continua a consentire uno scambio culturale tra le due realtà che ci regala sempre inusuali quanto appaganti produzioni.

Ed è bene affermare immediatamente che questo allestimento ha convinto appieno il pubblico esperto del Petruzzelli, come e forse anche più de “La Dama di Picche” di Pëtr Il’ič Čajkovskij, altra perla dell’Hessisches Staatstheater rappresentata a Bari negli anni scorsi; pur comprendendo che il titolo potesse spaventare, se non addirittura terrorizzare, parte degli abituali spettatori, posso affermare, senza tema di smentita, che sia caduto in errore chi abbia preventivamente rinunciato a godere di quella che non può non definirsi come una delle creature wagneriane maggiormente fruibili anche da orecchio poco allenato, soprattutto per quella sua capacità, rara nelle creazioni del compositore tedesco, di presentarsi come una perfetta commistione tra parole e musica, riuscendo ad emozionare ed appassionare in modo diretto, tanto da essere accomunata alle opere di Verdi o di Puccini, sviluppando la tanto ricercata forza poetica senza doverlo fare “a prezzo di stridori e stonature”, critica che, dopo la sua morte, fu mossa all’intera produzione del Maestro.

In “Tannhäuser”, la cui gestazione durò dal 1841, quando il compositore aveva solo ventotto anni, al 1845, sembra infatti già realizzarsi pienamente la ricerca wagneriana, quell’indagine su di una nuova coscienza poetica in via di definizione che qui si estrinsecava grazie ad una storia in fondo semplice, a fondamento della quale pone due elementi narrativi: da una parte la tenzone dei cantori sulla Wartburg, testo risalente alla metà circa del secolo XIII, raccolto nelle saghe dei fratelli Grimm e utilizzato anche da Hoffmann nei “Fratelli di Serapione” e che precorre i “Maestri cantori di Norimberga”, con il tema dei generi poetici e dei circoli chiusi che si misurano in gare di poesia, con la figlia del personaggio più autorevole quale premio, e, dall’altra, la leggenda di Tannhäuser, tramandata in varie raccolte di poesia popolare, fra cui il celebre “Corno magico del fanciullo” di Arnim e Brentano, tanto caro a Tieck, Uhland, Heine ed, in genere, a tutta la produzione letteraria più vicina a Wagner, che conduce sino al “Parsifal” attraverso “Tristano e Isotta”, con la leggenda della possibile liberazione del cantore dal dominio di Venere solo tramite un gravoso pellegrinaggio di purificazione, soluzione che Wagner qui addirittura supera, introducendo, come nell’“Olandese volante”, la necessità, per far giungere il peccatore alla redenzione, dell’incondizionato sacrificio riparatore di un’altra vita umana, quella della dolcissima Elisabeth che consapevolmente ed eroicamente si consegna alla volontà di Dio come strumento di salvezza del suo amato.

L’edizione dell’Hessisches Staatstheater esaltava ognuna di queste qualità, grazie ad un lavoro d’insieme davvero raro e prezioso. Così, non crediamo non si potesse che restare ipnotizzati davanti alla geniale regia di Uwe Eric Laufenberg, cui collaborava anche Silvia Gatto, perfettamente coadiuvato nell’impresa da Rolf Glittenberg per le monumentali scene, da Marianne Glittenberg per gli appropriati costumi e da Andreas Frank per le avvolgenti luci, tutti intenti a realizzare una produzione visivamente possente quanto esplicita, che non concedeva un attimo di tregua, coinvolgente al punto da far trascorrere velocemente le ore, e che, pur essendo per taluni spiazzante, se non addirittura disturbante, non poteva lasciare indifferenti e non alimentare una proficua discussione a sipario calato.

La volontà del regista appare chiara sin dal video (creato da Gérard Naziri) che accompagna la lunghissima quanto affascinante Ouverture iniziale, una sequenza prettamente cinematografica, che richiamava alla memoria, tra gli altri, i maestri Luis Buñuel e Ken Russell, con immagini erotiche che sfociano persino nel pornografico e nella psichedelia allucinogena, generatrici, poi, dal vivo, dell’orgia con nudi integrali che ci introduce nella montagna di Venere dove il nostro antieroe è dilaniato dal conflitto che lo tormenta, incapace di scegliere tra la carica sensuale e sessuale della dea e l’amore puro e casto della sua Elisabeth: Laufenberg tenta di trascinare ogni spettatore sul palco assieme al suo protagonista, regalando ad ognuno di noi la medesima visione di Tannhäuser e determinandoci ad operare la nostra scelta; per farlo utilizza qualsivoglia allegoria e ogni espediente stilistico, come quello di far indossare ai personaggi abiti moderni nel primo e terzo atto (solo nel secondo saranno ricoperti di costumi medievaleggianti), così da rendere senza tempo la vicenda e, soprattutto, il lancinante conflitto interiore.

Di tale illuminata lettura registica godeva senza dubbio anche la parte musicale; in tal senso, un elogio particolare va tributato alla inebriante prestazione dell’Orchestra del Teatro Petruzzelli, mai scesa al di sotto della perfezione nonostante l’ostico pentagramma, che, anzi, pareva esaltarsi dalla presenza sul podio del bravissimo Michael Güttler – peraltro chiamato a poche ore dalla Prima a sostituire il deficitario Will Humburg – al punto da confezionare un Tannhäuser ricchissimo di dettagli, vivo, appassionato, incantevole, sempre in compiuto equilibrio tra la passione e la sensualità; la maestria dell’ensemble orchestrale, seguendo alla lettera i dettami wagneriani, manteneva sempre altissima la temperatura emotiva, lasciando che l’espressiva pagina musicale fosse resa, dall’accesa frenesia di Venere sino alla purezza del Lied e del Corale, in tutto il suo variegato, caleidoscopico e rapinoso svolgersi.

La medesima magia riusciva al Coro del Teatro Petruzzelli che l’ottimo preparatore Fabrizio Cassi sapeva trascinare in una prova convincente su tutta la linea, tanto dal punto di vista vocale quanto da quello recitativo, con un’ottima tenuta in ogni fase dell’Opera, anche negli impervi passaggi a cappella su cui altre compagini, anche ben più titolate, sono miseramente cadute.

In tale favorevole congiuntura si inseriva anche gran parte del cast, in cui meritano una menzione particolare le splendide Betsy Horne e Jordanka Milkova, rispettivamente Elisabeth e Venere, Young Doo Park nel ruolo del Langravio Hermann di Turingia, e specialmente Birger Radde nel ruolo di Wolfram von Eschenbach, che riusciva ad essere sì struggente da donare brividi alla platea (la sua Canzone alla stella della sera nell’ultimo atto era da antologia), mentre, purtroppo, non possiamo lanciarci nella stessa affermazione per il Tannhäuser del pur bravo Aaron Cawley, che, almeno durante la sera della Prima, non riusciva quasi mai a sollevarsi da una performance opaca tanto dal punto di vista vocale quanto da quello attoriale, meritandosi, infine, tra le tante ovazioni, qualche disapprovazione del pubblico.

Pasquale Attolico
Foto di Clarissa Lapolla

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1 commento su “Possente, esplicito, spiazzante, ma sempre coinvolgente il capolavoro di Richard Wagner “Tannhäuser” andato in scena nel cartellone d’Opera 2023 della Fondazione Teatro Petruzzelli nella versione dell’Hessisches Staatstheater Wiesbaden

  1. Claudio Cozzolino Rispondi

    Siamo venuti da Napoli per il Tannhauser, cosi’ raro alle nostre latitudini e sono d accordo con tutta la critica editoriale piu’,avendo ascoltato l’altro tenore,siamo stati ancora più fortunati. Bello spettacolo. Commenti al teatro ed all’attentissimo pubblico.

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