La nuova produzione e nuovo allestimento scenico della Fondazione Teatro Petruzzelli della “Turandot” pucciniana resa indimenticabile dalle meravigliose creazioni di Roberto Capucci

Sono passati più o meno dieci mesi da quando Giacomo Puccini ci ha lasciato, combattendo contro il destino per portare a compimento la sua Turandot. Così come allora non appariva all’orizzonte nessuna figura che desse segni di essere altrettanto dotata come melodista, non è una sorpresa che oggi nessun altro sia emerso in grado di prendere il pubblico mondiale per le orecchie.” (Edgard Varèse)

Se non vi fosse l’inconfutabile elemento temporale al suo interno, saremmo di certo portati a considerare la frase testè riportata, coniata da uno dei massimi compositori del Novecento, come appartenente ai nostri giorni, al nostro oggi, quando solo un anno e appena tre ci separano, rispettivamente, dal centenario della scomparsa del Maestro Giacomo Puccini e della Prima assoluta della sua “Turandot”, tenutasi il 25 aprile 1926 alla Scala di Milano allorquando un commosso Arturo Toscanini, a metà del terzo atto e, nello specifico, due battute dopo il verso “Liù, poesia!”, interruppe la sua sublime direzione sussurrando al pubblico “Qui termina la rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto”.

La Fondazione del Teatro Petruzzelli bene ha fatto ad anticipare le commemorazioni che di sicuro si susseguiranno di qui a breve, aprendo, dopo la pausa estiva, l’ultima sezione della Stagione d’Opera 2023 con una nuova sontuosa Produzione, di fatto perpetuando una tradizione che la portò a scegliere il capolavoro pucciniano anche per l’inaugurazione della Stagione lirica 2009.10, la prima dopo la ricostruzione del Teatro a seguito dell’incendio devastante; ma se, in quel caso, la regia del grande Roberto De Simone, in aperta diatriba con gli eredi del Maestro che continuano a rigettarne la proposta di un nuovo finale, il terzo dopo quello scritto da Luciano Berio nel 2001, volle che la rappresentazione si interrompesse esattamente come la sera della Prima assoluta, oggi il pubblico della Fondazione, che ha fatto registrare il sold out per tutte le repliche, ha potuto godere del finale posticcio e postumo realizzato da Franco Alfano su commissione dell’editore Ricordi, dei citati eredi Puccini e dello stesso Toscanini.

Ebbene, anche quanti non sono in linea con tale scelta – e chi scrive è tra questi -, ritenendo che Puccini abbia lasciato incompiuta la sua partitura non solo a causa del tumore alla gola che lo attanagliò conducendolo alla morte, ma anche perchè l’abbozzato finale non appagava il rigore che lo contraddistingueva, impedendogli di risolvere la vicenda, dopo la tragica morte della fedele Liù, in un lieto fine con il semplice bacio tra i protagonisti, non potranno oggi non salutare questa nuova produzione del Petruzzelli come un’altra pietra miliare tra le innumerevoli versioni di Turandot, resa assolutamente indimenticabile innanzitutto dalle meravigliose creazioni di Roberto Capucci, il quale, grazie anche alla collaborazione di Anna Biagiotti, ha trasmesso il suo indelebile ed inimitabile marchio ai magnifici costumi, pezzi d’arte già di per se stessi che, nel contesto lirico, illuminavano la scena come poche altre volte è accaduto. A gareggiare in maestosità e bellezza con cotanta maestria ci pensavano le monumentali scenografie di Gary McCann, perfettamente esaltate dal disegno luci di Fabio Barettin e dai video di Driscoll Otto, che richiamavano alla memoria l’antica arte dell’origami, ma anche talune costruzioni di ghiaccio (si veda anche la recente filmografia Disney), che ben si sposavano allo spirito misandrico e vendicativo dell’algida Principessa.

In tale affascinante contesto, aveva gioco facile la regia di Paul Curran, tradizionalmente calata nel libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, cui però non sarebbe guastata, soprattutto negli ingressi e nelle sortite delle comparse, qualche trovata originale, affidata alle sole coreografie di Kyle Lang realizzate dalla Compagnia Daniele Cipriani, come anche maggiore cura degli elementi psicologici dei protagonisti, che affioravano assai raramente nei ripetuti e didascalici gesti degli stessi.

In assenza di spessore attoriale, le prove del cast andavano giudicate esclusivamente sulla resa vocale: in tal senso non può non definirsi divina la Liù di Francesca Sassu, capace di far commuovere sino alle lacrime il pubblico, che le concedeva il meritatissimo tripudio a scena aperta e durante gli applausi finali; da lodare anche il Calaf di Jorge de León, inizialmente più legato ma non giunto impreparato all’attesissimo appuntamento con il “Nessun dorma”; di buon livello il Ping di Jungmin Kim, il Pang di Blagoj Nacoski e il Pong di Massimiliano Chiarolla, come pure l’Altoum di Bruno Lazzaretti, il Timur di Ramaz Chikviladze, il Mandarino di Giovanni Guagliardo, il Principe di Persia di Raffaele Pastore, la prima ancella di Maria Meerovich e la seconda ancella di Annamaria Bellocchio. Un discorso a parte merita la Turandot di Rebeka Lokar; l’astro dell’ancor giovane soprano sloveno, che pure ci ha abituati ad una vocalità di tutto rilievo che eccelle per una sicurezza tecnica che le consentirebbe di affrontare e superare anche le impervie tessiture di Turandot, non ha brillato nella notte barese, non riuscendo – se non raramente – a dare la giusta intensità alla combattuta personalità della protagonista.

Ottima, come sempre, l’esecuzione dell’Orchestra, magistralmente diretta – come pure nel 2009 – da Renato Palumbo, e del Coro del Teatro Petruzzelli, affidato alla saggia cura di Fabrizio Cassi, cui deve aggiungersi la convincente prova del Coro di Voci Bianche Vox Juvenes diretto da Emanuela Aymone.

Il successo che ha salutato anche questa nuova produzione e nuovo allestimento scenico della Fondazione Teatro Petruzzelli, con richieste che hanno di gran lunga superato la capacità delle repliche programmate, tutte, come detto, sold out, non può che spingerci a chiedere a gran voce di proseguire in questo – invero gigantesco – impegno produttivo, magari concedendo alla popolazione di amanti del genere un incremento di recite.

Pasquale Attolico
Foto di Clarissa Lapolla photography

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