“Contrattempi moderni”, il primo esilarante one man show di Raffaello Tullo, ironizza sulla schiavitù dell’uomo dei nostri giorni, trasformando un disagio individuale in coscienza collettiva

Tutte le arti contribuiscono all’arte più grande di tutte: quella di vivere.” (Bertolt Brecht)

Attraverso la comicità vediamo l’irrazionale in ciò che ci sembra razionale; il folle in ciò che ci sembra sensato; l’insignificante in ciò che sembra pieno di importanza. Essa ci aiuta anche a sopravvivere preservando il nostro equilibrio mentale. Grazie all’umorismo siamo meno schiacciati dalle vicissitudini della vita. Esso attiva il nostro senso delle proporzioni e ci insegna che in un eccesso di serietà si annida sempre l’assurdo.Il ridicolo, immagino, è un atteggiamento di sfida: dobbiamo ridere in faccia alla tragedia, alla sfortuna e alla nostra impotenza contro le forze della natura, se non vogliamo impazzire.” (Charlie Chaplin)

Il talento non lo inventi, non lo falsifichi, non lo improvvisi; è una dote sulla quale è praticamente impossibile mistificare: o c’è o non c’è. Un pubblico attento e preparato lo individua immediatamente, lo riconosce dall’odore, fiutandolo come una belva affamata fa con la sua preda, pronta a sbranarla se, anche solo per un attimo, la vittima predestinata si mostri non corrispondente alle aspettative.

Sono anni ormai che Raffaello Tullo dimostra di avere innato talento da vendere, che, accostato ad un impegno duro e ad una distintiva personalità interpretativa, gli consente di essere una delle punte di diamante del nostro scrigno più prezioso di attori – comici, ma non solo – che hanno fatto dell’intelligenza, della sagacia e della poliedricità le loro armi migliori; a parlare per lui è il suo infaticabile (e, per nostra fortuna, ancora lontano dal dirsi esaurito) lavoro con la Rimbamband e, da qualche tempo a questa parte, il suo primo one man showContrattempi moderni”, la physical comedy, coprodotta da Teatro Traetta, Comune e al Parco delle Arti di Bitonto con il sostegno di “Supermercati Dok & Famila”, che lui stesso ha scritto con Alessandro Clemente (autore di Benigni, Crozza, Luca e Paolo) e Alberto Di Risio (autore storico di Fiorello), che sta mietendo successi in tutta Italia, facendo registrare continui meritatissimi sold out, come è accaduto anche al Teatro Abeliano di Bari negli ultimi giorni dell’anno appena trascorso.

Solo sul palco – se si eccettuano un pappagallo ed un aspirapolvere (?) -, armato esclusivamente della sua verve e della sua mimica, Raffaello fa muovere il suo personaggio in una nuova ipertecnologica abitazione che tenterà di ridurlo in schiavitù, tra telecomandi sbagliati, password dimenticate ed elettrodomestici insubordinati.

Naturalmente, il primo e più chiaro riferimento è a “Tempi moderni”, il capolavoro del cinema mondiale, richiamato anche dal titolo, firmato dal genio assoluto di Charlie Chaplin, con ogni probabilità il primo film a portare sullo schermo in chiave comica le alienazioni della modernità ed il conflitto uomo-macchina; Tullo è così concettualmente vicino alla poetica chapliniana da voler creare un protagonista – quasi – totalmente muto (stessa anacronistica scelta del Maestro nonostante il cinema sonoro fosse già in auge nel 1936) che si esprimesse attraverso il linguaggio del corpo, che utilizza sino allo spasimo, e numerosi effetti sonori, integrati con un più che sapiente commento musicale (arrangiamenti e piano sono di Alberto Iovene, contrabbasso di Camillo Pace, clarinetto di Andrea Campanella, canto e cori di Fabio Lepore e Martina Salvatore, chitarra e batteria dello stesso Tullo), ma anche e soprattutto da determinarsi a partorire una pièce costruita secondo una struttura unitaria ed, allo stesso tempo, divisa in capitoli, scanditi dall’avversario o dall’avversità di turno, tipica proprio dell’era del muto, realizzando, complice anche l’ottima regia dello stesso Di Risio, un mix perfetto di generi, un’esemplare miscela di elementi comici e – talvolta – malinconici, fortemente caratterizzata da invenzioni visive.

Eppure, nonostante questi presupposti, quello che poteva attestarsi come una – pur coraggiosa – operazione “retrò”, si rileva ben presto un esilarante spettacolo che, senza mai abbandonare una massiccia dose di ironia, sviluppa più di un tema che – riflettendoci a freddo – riguarda la totalità del pubblico; lì dove Chaplin focalizzava la sua attenzione sulla critica a quel sogno americano tanto promettente quanto illusorio, Tullo, servendosi di altri innumerevoli richiami ed omaggi cinematografici e non, “Frankenstein Junior” del divino Mel Brooks su tutti, sviluppa, con un senso del comico più unico che raro, una spietata analisi dei nostri incerti giorni, delle nostre malsane quanto presunte comodità, immergendo il suo protagonista in un sistema sociale antagonista e complesso in cui è primariamente la tecnologia stessa ad ostacolare la realizzazione dei suoi desideri.

Le macchine che danno l’abbondanza ci hanno lasciati nel bisogno. La nostra sapienza ci ha reso cinici, l’intelligenza duri e spietati. Pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che macchine, l’uomo ha bisogno di umanità. Più che intelligenza, abbiamo bisogno di dolcezza e bontà. Senza queste doti la vita sarà violenta e tutto andrà perduto.”, diceva Chaplin presentando l’ultima avventura del suo Vagabondo e Tullo sembra attualizzare, con non comune sensibilità, il pensiero del Maestro, introducendo nella sua opera l’universale tematica del contrattempo del cuore, del legame di coppia, dell’amore, sognato, idealizzato, illusoriamente ricercato sino all’amara disillusione; sarà, infatti, a mio modesto parere, l’asfissiante, arrogante e prepotente fidanzata (affidata alla voce di Annabella Giordano) l’elemento più disturbante e vessatorio della giornata del nostro eroe, con quelle continue odiose telefonate che lo ridurranno ad anello debole del rapporto, conducendolo alla infelicità più profonda e, finanche, ad una esplosiva follia.

Solo quando, in un finale di forte intensità poetica, il protagonista, debole, vilipeso, perseguitato, deriso e sconfitto, troverà la forza di ribellarsi a chi vorrebbe soverchiarlo, umano, animale o macchina che sia, aderendo perfettamente al teorema brechtiano riportato in apertura e prendendo coscienza di godere di momenti di felicità laddove può esprimere liberamente se stesso, tanto come performer quanto come amante amato, ebbene solo allora riuscirà finalmente ad attuare il suo moto rivoluzionario, il suo progetto di gioia, la sua idea di vita viva, seppur questo vorrà dire essere costretto ad accettare la relazione con una ‘donna’ utopica, fittizia, irreale (forse un richiamo al finale del primo “Blade runner”).

In altre parole, in “Contrattempi moderni”, tra gli innumerevoli motivi di ilarità, non è possibile non rinvenire un disagio individuale che riesce, anche a giudicare dalle incessanti risate della sala, a trasformarsi in coscienza collettiva, portando il pubblico finalmente a comprendere che solo dopo aver stanato ed incalzato il nemico interno possiamo identificare e difenderci dal nemico esterno e che solo ridendo di noi stessi possiamo superare le difficoltà dell’esistenza che ci è dato in sorte di vivere; in questa ottica, l’arte e l’amore, entrambi senza condizionamenti, restano le sole soluzioni capaci di esorcizzare l’alienazione e l’emarginazione dell’individuo nella società moderna, conducendolo ad una consapevolezza che può portarlo a vivere i suoi sogni sino in fondo, fino a veder persino trasformata (in una specie di Pinocchio – pur richiamato durante lo spettacolo nelle indimenticabili movenze di Totò – al contrario) l’amata donna virtuale in una splendida fanciulla, che qui non avrebbe potuto avere fattezze più consone di quelle della solare quanto bravissima Martina Salvatore, da qualche tempo ‘Signora Tullo’, che dietro le quinte rende possibile ogni replica dello spettacolo e che, nella serata dell’Abeliano, ha regalato al pubblico – insieme a Raffaello, ça va sans dire – anche una prima assoluta con un bis di infinita semplicità e bellezza.

Non lo puoi improvvisare il talento, dicevamo un attimo fa, però se hai tanto – ma proprio tanto – talento riesci anche ad improvvisare o, meglio, a piegare all’arte dell’improvvisazione una performance che, essendo tra le più moderne in circolazione, grazie ad un sapiente utilizzo della tecnica dovuto anche alla direzione e alle luci di Andrea Mundo, agli inserti videografici di Vincenzo Recchia, ai video di Michele Didone ottimizzati da Daniele Motolese, alla direzione della fotografia di Claudio Procaccio e, last but not least, alla scenografia di Claudia Castriotta, deve necessariamente andare oltre la perfezione.
Ebbene Raffaello Tullo, pur non sbagliando un colpo che sia uno, è riuscito ad inserire nell’appuntamento con il pubblico barese una serie di estemporanee gag, prendendo soprattutto di mira un inconsapevole spettatore che ha ‘simpaticamente martirizzato’ sino a ‘costringerlo’ a salire sul palco con lui per prodursi in un indefinito ed indefinibile Moonwalk di jacksoniana – tradita – memoria; ma se, come giustamente affermava Gandhi, “il senso dell’umorismo è l’asta che dà equilibrio ai nostri passi, mentre camminiamo sulla fune della vita”, sono certo di poter affermare, senza tema di smentita, che quello spettatore avrà mille volte ringraziato in cuor suo l’entertainer pugliese per avergli regalato una serata indimenticabile, anche se si trovava in platea solo per adempiere ai suoi compiti di vecchio cronista.

Pasquale Attolico
Foto di Officina FotoGrafica di Rosa Cisternino

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