“La Dama di Picche” di Pëtr Il’ič Čajkovskij nella messa in scena dell’Hessisches Staatstheater di Wiesbaden regala luci ed ombre al pubblico della Fondazione del Teatro Petruzzelli

Hermann si è trasformato da semplice pretesto per scrivere musica in uomo vivo, reale, e soprattutto simpatico. Ho composto l’ultima scena ieri prima di pranzo: quando sono arrivato alla morte di Hermann e al coro finale ho provato un tale dolore per lui che mi sono messo a piangere disperatamente. Un pianto che è durato a lungo e si è trasformato in una sorta di dolce attacco isterico: era così piacevole piangere.” (Pëtr Il’ič Čajkovskij)

Bari, 15 ottobre 2022. Al termine della Prima de “La Dama di Picche”, la messa in scena dell’Hessisches Staatstheater di Wiesbaden della monumentale Opera di Pëtr Il’ič Čajkovskij, mentre ancora il Teatro Petruzzelli è traboccante di applausi e di ovazioni, riaccendo il mio telefonino e leggo, non riuscendo a celare lo sconcerto, questo scarno ma essenziale e, soprattutto, necessario comunicato: “Gli artisti, i musicisti, le maestranze, la direzione del Teatro Petruzzelli e tutti i suoi dipendenti, sono vicini alla famiglia di Yuriy Kerpatenko, il direttore d’orchestra capo del teatro drammatico di Kherson intitolato a Nikolai Kulish, a cui è stata tolta la vita per aver essersi rifiutato di collaborare con gli occupanti, restando fedele al suo Paese. Da tutti noi le più care e sentite condoglianze a tutti i suoi cari!”; saprò più tardi che per il 46enne Direttore del “Mykola Kulish Music and Drama Theatre” è stata fatale la volontà di non lasciare Kherson dopo l’occupazione dell’esercito russo, restando al proprio posto senza mai nascondere di essere fedele all’Ucraina, contegno considerato da Mosca e dai filorussi un aperto atto di resistenza rivoluzionaria, cristallizzatosi nel rifiuto di esibirsi al grande concerto del primo ottobre, organizzato dalle forze di occupazione per tentare di convincere il mondo dell’avvenuto ripristino di una vita pacifica nelle zone annesse alla Federazione a seguito del referendum farsa di fine settembre: per gli invasori è stato l’ultimo schiaffo, hanno raggiunto il Maestro Kerpatenko nella sua stessa abitazione e lo hanno ucciso a colpi di arma da fuoco.

È sembrato davvero un macabro scherzo del destino venire a conoscenza del brutale assassinio del direttore d’orchestra di Kherson (cui è idealmente dedicato questo articolo) nella stessa sera in cui le note di uno dei più luminosi ed idolatrati figli della Madre Russia – in realtà morto anch’egli in circostanze ancora oggi non chiarite, tanto che la fonte più accreditata è quella del “suicidio di Stato”, cui il compositore sarebbe stato costretto per evitare lo scandalo che, turbando l’inattaccabile immagine dell’uomo bolscevico nel mondo, sarebbe esploso se fosse stata resa nota la sua omosessualità – hanno riempito il nostro Politeama, grazie ad una nuova coraggiosa scelta della Fondazione del Teatro Petruzzelli che decideva di ospitare nell’annuale cartellone della Stagione d’Opera e Balletto il citato prestigioso Teatro d’Opera tedesco, intraprendendo un percorso collaborativo che proseguirà nel mese di maggio con la rappresentazione in Germania della nuova produzione di “Aida” per la regia di Mariano Bauduin, la stessa che ha riscosso un successo strepitoso al suo debutto in Puglia.

Penultima delle sue dieci opere, “La dama di picche (Пиковая дама, Pikovaia Dama)”, che debuttò al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo nel 1890, fu composta da Čajkovskij, durante il suo soggiorno a Firenze, sul libretto che suo fratello Modest trasse dall’omonimo racconto di Aleksandr Puškin del 1834, in realtà modificandolo così sostanzialmente da far credere che la ‘nuova lettura’ prendesse spunto dalla stessa vita segreta del musicista. Nella riscrittura dei fratelli Čajkovskij, il protagonista Hermann, un giovane ufficiale, è invaghito di Lisa, promessa sposa del Principe Eleckij e nipote di una vecchia bisbetica Contessa, un tempo bellissima ed ambitissima finanche a Corte, soprannominata “la dama di picche”, in quanto pare detenere il segreto per vincere infallibilmente al gioco delle tre carte, primaria occupazione dell’alta società russa; la fanciulla, presto innamoratasi dell’ufficiale, lo fa accedere alle sue stanze per fuggire con lui, ma Hermann, ormai ossessionato dalla prospettiva di diventare ricco col gioco d’azzardo, si introduce nell’appartamento della Contessa per estorcerle una confessione, ma l’anziana, terrorizzata, muore senza parlare, salvo poi apparire successivamente in spirito al suo inconsapevole assassino per rivelargli l’agognato e vincente segreto. Schiavo del gioco, Hermann ripudierà anche Lisa, che si suiciderà gettandosi tra le acque gelide del Fiume Neva, ed infine troverà la morte, sparandosi un colpo di rivoltella proprio sul tavolo da gioco, dove aveva sfidato il tradito Principe Eleckij, vincendo le prime due poste, ma perdendo tutto con la terza, dato che, in luogo dell’asso profetizzato dal fantasma della Contessa, si è ritrovato tra le mani la dama di picche che al giovane, ormai del tutto impazzito, apparirà con l’effige sogghignante della sua vittima.

La regia di Uwe Eric Laufenberg, qui ripresa da Silvia Gatto, si prende più d’una libertà sul testo, sempre in bilico tra Modest Čajkovskij ed Aleksandr Puškin, decidendo nel finale di non far morire il protagonista, ma di farlo presumibilmente rinchiudere in manicomio dai suoi stessi ex amici, desiderosi solo di mettersi alle spalle l’accaduto per tornare quanto prima al tavolo da gioco.

Pur comprendendo il desiderio di creare una rappresentazione per lo più rispettosa dei classici canoni delle originarie messe in scena, non possiamo non dire che l’idea di rinchiudere tutti i personaggi in una cornice, vittime – di fatto – dell’opprimente staticità, che risulta finanche claustrofobica, delle ingombranti scene di Rolf Glittenberg, tradizionalmente illuminate da Andreas Frank, non consente alla drammaticità del testo di emergere nemmeno grazie ai video di Gèrard Naziri, non riuscendo a descrivere, se non raramente, il contrasto tra l’amore e la morte entro cui oscilla l’opera, in pratica riducendo tutti i tormenti, le passioni, le ossessioni, le ambizioni, i mutamenti, a siparietti consegnati nelle mani – capaci o meno – di cantanti/attori che, bardati nei costumi di Marianne Glittenberg, posano la loro interpretazione quasi esclusivamente su gesti del tutto convenzionali. Hermann, ad esempio, sembra procurare la morte della vecchia Contessa con un tentativo di approccio/violenza sessuale più che con la propria rivoltella, per poi sedersi tranquillo sul lettone aspettando che la vecchia gli riveli il segreto delle tre carte, non accorgendosi che nel frattempo è morta; il suicidio di Lisa nel fiume innevato, che si sarebbe potuto anche risolvere con un tuffo ad immagine della Tosca pucciniana, è inscenato con un arrotolarsi della stessa in lunghe lenzuola (se dovevano richiamare i flutti delle acque, occorreva allora farle vedere in anticipo); ancora Hermann, nel veemente finale, sembra farsi davvero male con la rivoltella sulla tempia, al punto che si sarebbe potuto credere che volesse suicidarsi non sparando, ma colpendosi con l’arma.
Altrove Laufenberg sembra poi divertirsi con trovate ironiche un po’ gratuite, come quando fa accedere in scena Caterina II, imperatrice di tutte le Russie, in abiti rivelatisi adamitici, per il primo di ben cinque nudi integrali che, pur non dispiacendo a parte del pubblico, non sempre appaiono consoni alla rappresentazione, inseriti soprattutto nelle incolori coreografie di Myriam Lifka realizzate da Gabriele Ascani, Manuel Gaubatz, Cara Remke, Josefine Rau e Carla Peters.

I dubbi sulla messa in scena non hanno però impedito ai responsabili della parte musicale di rifulgere, conquistandosi l’indubitabile consenso di pubblico ed addetti ai lavori. “La natura mi ha dotato di un talento musicale nel quale credo, del quale non dubito, di cui vado orgoglioso, anche soltanto perché la mia musica reca conforto e piacere a persone come Voi. Mi sembra di essere davvero dotato dell’abilità, in modo sincero, sincero e semplice, di esprimere i sentimenti, gli umori e le immagini suggeriti da un testo.” amava ripetere Čajkovskij e, senza dubbio, sotto tale ottica “La dama di picche” resta una delle sue partiture operistiche più riuscite, sturm und drang tradotto in sublimi note ed un intreccio vocale multiforme,perfetta miscellanea di malinconica passione e straziante tragicità che sfociano in un pessimismo visionario e morboso, al confine tra romanticismo e decadentismo, in cui notoriamente aleggiano sonorità che verranno successivamente tradotte nella Sinfonia Patetica. La direzione di Michael Güttler ha saputo tradurre tutto questo con eccelsa maestria, riuscendo a scavare nelle profondità dell’animo cajkovskijano per poi tornare in superficie da vincitore, dopo aver recuperato tutti i tesori nascosti nel pentagramma, fossero luci o ombre, eroismi o ambiguità, gioie o dolori, finanche descrivendo – molto meglio di quanto sia riuscito alla regia – i tratti psicologici di ogni personaggio. Grazie alla sua bacchetta, la sempre mirabile Orchestra del Teatro Petruzzelli si esibiva al massimo delle sue straordinarie e caleidoscopiche possibilità, capace di cimentarsi in fulminei trapassi d’atmosfera ed impeccabili mutamenti di colori: la morbidezza e la dolcezza dei violini, i motivi appassionati, mai affettati, sostenuti da viole e violoncelli rifulgono di intima e sognante sensualità, ma sono i fiati e le percussioni a farci fremere con sonorità selvagge perfettamente controllate, in una incomparabile esecuzione musicale che riesce nell’erculea prova di donare unità di senso ad un’opera frammentata in molti quadri.

Fabrizio Cassi dirige ancora una volta in maniera esemplare il fantastico Coro della Fondazione Petruzzelli in una delle più complicate partiture del panorama lirico, guidandolo tra oasi gioiose e cupe architetture, tra goliardia spensierata ed incombenze soprannaturali, passando senza soluzione di continuità dal canto melodioso ed affabile, indicativamente popolare, a quello più imperioso ed arcaico, disposto entro organismi chiari ed ordinati, rendendo appieno le influenze che costituiscono la speciale firma dello stile ciaikovskiano.

Elena Bezgodkova è una eccelsa Lisa dal timbro fascinoso, gli acuti luminosi e il fraseggio articolato, indimenticabile per sicurezza d’intonazione, partecipazione emotiva, ma anche per una capacità di recitazione naturale, magnificamente espressiva nel far risaltare tanto la dolcezza, la grazia e la trepidazione della giovane innamorata quanto la disperazione della donna tradita e rinnegata. Altrettanto encomiabile è la Contessa di Romina Boscolo: acida, tirannica ed odiosa per tutta la rappresentazione, sa trasformarsi in una fonte di pura ed incancellabile emozione quando, in finale del secondo atto, immersa in una dimensione onirica e rimembrando con tono nostalgico i bei tempi andati della gioventù e delle feste a Corte, intona “Je crains de lui parler la nuit” – che Čajkovskij aveva tratto dal “Richard coeur de lion” di Grétry –, riescendo a strappar via l’anima dal petto di ogni ascoltatore. La Polina di Silvia Hauer regala ariosità musicali sia nel duetto con Lisa sia nella successiva canzone-danza folcloristica “Orsù, Mašen’ka mia cara”, in cui la sua vivace allegria si fa addirittura contagiosa.

Ottimo il Principe Eleckij di Benjamin Russell, sempre in possesso di un fraseggio sicuro e ricco di dettagli, come pure il Conte Tomskij di Thomas de Vries, vero perno del dramma, dotato di una vocalità piena di chiaroscuri ironici, maliziosi ed ammiccanti. Il ruolo del protagonista Hermann – è noto – è impervio, quasi proibitivo per la tessitura che impegna il tenore allo spasimo; Aaron Cawley, pur possedendo registri robusti, tecnica più che valida ed un invidiabile physique du rôle, non riesce ad essere sempre convincente tanto per vocalità quanto – e soprattutto – per presenza scenica; declinando il suo personaggio in preda ad un impeto inappropriato, se non inopportuno, con smorfie e barcollamenti, rotolamenti per terra e gesti inconsulti, non porta il pubblico ad immedesimarsi mai appieno con lui e a commuoversi al suo dramma, sino a risultare monotono. Si fanno onore e meritano una menzione i molti comprimari: Donata-Alexandra Koch (Masha), Erik Biegel (Cekalinskij), Marek Reichert (Surin), Julian Habermann (Chaplickij), Raffaele Pastore (Il Cerimoniere), Mikhail Biryukov (Narumov).

Repliche ancora oggi, mercoledì 19 ottobre alle ore 20.30, e domani, giovedì 20 ottobre alle ore 18.00.

Pasquale Attolico
Foto: Clarissa Lapolla photography

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