Vito Signorile si dimostra ancora una volta instancabile cercatore ed infaticabile pellegrino con lo spettacolo “Col Sud a tracolla” andato in scena al Teatro Abeliano di Bari con Agata Paradiso

Un cercatore è un uomo coraggioso e testardo, un visionario che mette a tracolla la sua bisaccia e parte. Ha con sé la curiosità e la meraviglia, lo stupore dell’incontro con uomini, melodie ed emozioni. Suo cibo è la passione, la capacità di ascoltare anche il suono del silenzio.
Il cercatore ogni tanto si siede e racconta. I suoi occhi e le sue mani descrivono l’incanto, la sua voce sussurra, si incrina, si dispiega forte e rabbiosa, si modula in una canzone. Poi apre la sua bisaccia e riversa davanti al nostro sguardo in attesa tutto quello che ha raccolto nel suo andare, sorridendo sornione davanti allo stupore di chi lo ascolta: ammaliando, trascinando, avvolgendo.

Vito Signorile, instancabile cercatore, ha in sé l’urgenza della narrazione e, in questa esperienza di Teatro-Canzone, ancora una volta ci permette di sbirciare nell’incredibile patrimonio che negli anni ha testardamente e appassionatamente accumulato.
Nel suo spettacolo Col Sud a Tracolla, in scena al Teatro Abeliano di Bari, mescola con sapienza le parole dei poeti della nostra terra (da Vittore Fiore a Vittorio Bodini, Vito Riviello, Raffaele Nigro, Beatrice Viggiano, Raffaele Carrieri, Lino Angiuli, Michele Campione, Rocco Scotellaro), le inframezza con le canzoni di artisti del calibro di Matteo Salvatore, Otello Profazio, Pietro Basentini, Enzo del Re, Silvano Spadaccino, e poi vi aggiunge brani suoi e dei musicisti che lo hanno accompagnato in questa esperienza e che avremmo desiderato vedere anche in questa occasione sul palco, ad eseguire gli arrangiamenti musicali di Giuseppe de Trizio. E cuce tutto con maestria, con perizia tale che a lavoro finito non si notano cesure, e tutto scorre con fluidità e armonia, come se nascesse da un’unica penna, come se il cantare fosse di un’unica voce.

Sulla scena nuda, illuminata quel tanto che basta dalle luci di Danilo Milillo, Signorile racconta una terra ruvida, amara, tragica ma anche irridente e beffarda. Narra di braccianti, di povertà e miseria, di amore e di rabbia, di sconfitta e rassegnazione. Danza una milonga raccontando “Lu me’ paisi” (dove Li genti non hannu pani, non ci sta oggi, non c’è domani); sussurra un timido amore, grida la rabbia dei poveri e dei disperati, figli di una terra che ai suoi figli nega persino la speranza.

Sul palco, con lui, Agata Paradiso, vibrante nel racconto di Filomena, fragile, sanguigna, disperata; intensa quando racconta le donne dolenti e sconfitte (stiamo coi piedi nella cenere … e la campana ci dice di saziarci con un segno di croce). Una presenza, la sua, discreta ma forte, che parla anche quando resta in silenzio, un contrappunto efficace al carisma indiscusso di Signorile, che ringraziamo dal profondo del cuore per averci fatto sbirciare in questa preziosa bisaccia che porta con sé e che racchiude un patrimonio prezioso e inestimabile: la nostra storia, i profumi della nostra terra, i suoni del mare, i campi senza rumore (V. Fiore). Il tutto senza retorica, senza nulla concedere al desiderio di lieto fine o di riscatto degli ultimi. Lo ringraziamo per questa passione che fa di lui un infaticabile pellegrino col Sud a tracolla, e gli chiediamo di continuare a condividere quel bagaglio che ha accumulato negli anni.

Bellissima serata in cui la pioggia, il vento e il freddo ci hanno abbandonato al calare delle luci, all’apertura del sipario, al suono della voce che ha aperto la narrazione.
Ecco il nostro paese smagrito, ecco i nostri campi senza rumore, ecco i nostri uomini che per anni guardarono quei campi di silenzio.
Quando le luci si riaccendono, il sorriso sornione dell’uomo che ci racconta le nostre radici ha la certezza di averci catturato nel suo mondo, che è anche il nostro, quello di cui siamo intimamente e inconsapevolmente tessuti.

Imma Covino
Foto di repertorio tratte dalle pagine web degli artisti

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