“Un Eroe”: arriva dall’Iran il film che racconta la storia di un uomo sconfitto, ma non perduto

Il neo realismo italiano degli anni ’50 ci ha regalato capolavori indimenticabili (“Ladri di biciclette” – per me su tutti – è del 1948, ma già ascrivibile al decennio successivo), raccontandoci storie minime, per lo più strappalacrime, che si preoccupavano di inseguire i comportamenti e la rappresentazione delle situazioni, sociali e, per così dire, di vita vissuta, più che la bellezza delle immagini e dei panorami.

In queste circostanza, il racconto è lo scopo del film e i personaggi, principali o secondari o ancora masse informi di persone che agiscono quasi come uno sfondo attivo, sono la chiave di srotolamento della pellicola e di quello che si va a vedere al cinema (dove di norma non ci addormenta come a casa). Gli attori erano spesso presi dalla strada, senza alcuna esperienza, nel tentativo di rendere ancora più vera la rappresentazione.

I film che ci arrivano dall’Iran, ed in particolare questo “Un Eroe diretto da Asghar Farhadi nel 2021, mi danno sempre
l’impressione di vivere un’esperienza di intromissione nella realtà di quei luoghi, con tutte le diversità culturali e le omogeneità umane con il popolo iraniano che la lontananza fisica ci regala.

Finire in carcere per debiti non pagati è legge iraniana e, forse, islamica (per fortuna non italiana perché ne avremmo più dentro che fuori), ma per il protagonista si trasforma in un’avventura dalla quale non riesce ad uscire. Restituire le monete d’oro contenute nella borsa ritrovata dalla donna che lo ama sarà l’evento che scatenerà la vicenda e il nostro diventerà prima un eroe e poi il bugiardo che ha costruito una balla per uscire di galera in maniera non corretta e soprattutto continuare a fare del male.

Il protagonista della vicenda è, dunque, il buono o il cattivo? Noi lo sappiamo perché conosciamo tutte le mosse ma la società, e quelli che hanno un telefonino, leggono la vicenda solo ed esclusivamente attraverso i social. I dubbi e le paure stravolgono la verità e il nostro sarà costretto ad accettare la sconfitta, l’ennesima e forse non l’ultima, con la rassegnazione di chi ormai sa bene che sarà l’amore della donna che gli sta accanto e del figlio a consentirgli di rinascere.

Un film che, pur potendosi considerare un thriller, si snoda, per una volta senza sparatorie e contorni, stimolando continuamente la nostra attenzione senza essere mai banale o eccessivo.
La regia di Asghar Farhadi è lineare, senza salti e con inquadrature concentrate sui personaggi, così come nell’insieme sommessa ma precisa è la recitazione di Amir Jadidi, il protagonista, di Mohsen Tanabandeh insieme a Sarina Farhadi e Fereshth Sadre Orafaiy; onestamente sconosciuti, ma non disprezzabili, gli altri attori che, proprio come nella tradizione neorealista, sembrano stati reclutati occasionalmente, perfetti rappresentanti di un’umanità varia che vive in quartieri popolari, sempre al limite della povertà, sottomessi al potere, anche minimo.

Per gli spettatori occidentali come noi, l’insieme è decisamente anomalo.
Le donne indossano continuamente, e inspiegabilmente per un film con connotazione neorealista, lo hijab, anche quando sono in casa con i parenti più stretti, in circostanze che permetterebbe loro di farne a meno; vien da pensare che la recitazione, rivolta evidentemente a persone estranee al nucleo familiare, costringa le donne a mantenere il velo in ogni situazione.

In conclusione, “Un Eroe” è certamente un film da vedere; basta non attendersi l’assoluzione finale.

Marco Preverin

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