“Io sono Babbo Natale”, una storia gentile per salutare uno dei più grandi attori di tutti i tempi: il nostro Gigi Proietti

Edoardo Falcone, con il suo film “Io sono Babbo Natale“, confeziona una storia natalizia con un Babbo Natale romano e tecnologico.
Più che una fiaba, una storia gentile. Gentile nell’approccio e nello svolgimento.
Non troverete in questo film punte aspre, recitazioni spigolose, accentazioni troppo marcate, linguaggio pungente o cattivo.
No. Tutto si svolge in un’aura natalizia, ma resa – sembra quasi superfluo dirlo – per noi malinconica dalla scomparsa del nostro Gigi Proietti.

Un uomo provato dalla vita, maltrattato fin dall’infanzia, con i genitori che gli rubavano i regali, esce finalmente di galera.
Un uomo alla deriva che nessuno vuole e che, alla fine, dorme sulla panchina con due euro in tasca, finché un anziano uomo gentile non gli lascia un’elemosina. Il suo problema è che non sa fare altro che rubare, e altro non fa, e, quindi, vede nel buon vecchietto il pollo da spennare. Un po’ tocco, questo signore, gli confessa, in gran segreto, di essere Babbo Natale. Talmente sciocco ed incredibile da far pensare al nostro di essere cascato nel paese del bengodi dei truffatori. Un’immensità di giocattoli da vendere senza rischio e senza problemi, soldi facili. La scoperta della realtà gli apre scenari truffaldini che mai avrebbe immaginato di attraversare. Un ladro con i superpoteri. La vita – nei film accade – crea però situazioni che fanno emergere il vero io di ciascuno dei personaggi e la storia, con le giuste curve, ci porta alla trasformazione ed all’epilogo lieto, che il Natale impone con la giusta dose di gioia e allo stesso tempo di malinconia.

Un film non eccessivo, nemmeno nel buonismo o nel “natalismo”.
Un Babbo Natale all’italiana, meglio alla romana, ma non all’amatriciana, con personaggi ben disegnati senza colori accesi ma con tratti pastello e tratti morbidi, nel segno della classe e della grazia di uno dei più grandi attori di tutti i tempi. Nei momenti di massima tensione narrativa, si arriva a malapena ad aggrottare le ciglia e mai a provare tensione perché è tutto facile e scorrevole, senza salti.
Marco Giallini è sempre uguale a se stesso, ma è riuscito a costruire una maschera che è essa stessa un personaggio. La sua interpretazione ci accompagna per tutta la storia in maniera silenziosa, per buona parte del film, sempre con una lieve nota di ironia anche nei momenti peggiori, si fa per dire, del film. Tra lui ed il divino Proietti scatta più volte visibilmente la chimica, come in quei momenti in cui due attori non recitano più, ma sono le persone e non i personaggi che interpretano.
Barbara Ronchi, con la sua “c” romanesca, ha una parlata accennata e ci dà un personaggio femminile che ha saputo ricostruire se stessa e la sua vita con caparbietà, mai mostrata e, nel film, solo sottintesa.

Ma tutto questo, assieme ad ogni possibilità di rimanere distaccati spettatori, irrimediabilmente scompare, come lacrime nella pioggia, quando, alla fine, l’immenso Gigi ci dona il suo Buon Natale per l’ultima volta.
Il resto è silenzio.

Marco Preverin

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