Sulle Vie dei Sapori, Salvador de Bahia, Jorge Amado e la Moqueca.

Se ami l’umanità”- scrive Jorge Amado – “e desideri vedere Bahia con occhi d’amore e di comprensione, allora sarò la tua guida. Rideremo insieme e insieme ci ribelleremo. Ogni dépliant ufficiale ti dirà quanto è costata la costruzione dell’ascensore Lacerda, l’età esatta della Cattedrale, il numero preciso dei miracoli del Signore del Bonfim. Ma io ti dirò ben di più, poiché ti parlerò del pittoresco e della poesia, ma anche del dolore e della miseria”.

Proprio per questo, prima di mettere piede per la prima volta a Salvador de Bahia, città coloniale, antica e piena di atmosfera, un tempo capitale del Brasile … io ci ero già stata. Quel pittoresco e quella poesia, insieme a quel dolore e quella miseria … io li avevo già vissuti.

Già avevo visto il lungomare di Bahia, tra il porto e il faro di Barra, dove da un lato c’è il mare dei pescatori ubriachi e stanchi, felici ogni giorno di essere tornati salvi dalla pesca, e dall’altro edifici coloniali, tutti colorati e con le porte sempre aperte.
Già avevo preso un caffè nel bar sul molo con vista della baia e dell’intera città, insieme a uomini seduti ai tavolini intenti a giocare a domino.
Già avevo visto dalla baia, alle spalle, la Citade Alta, da cui si ammira meglio il bellissimo panorama, e in basso, la Citade Baixa, che si spinge fino a Vermelho e al mercato popolare di Sao Joaquim, dove ho comprato di tutto, affascinata da oggetti di artigianato locale irreperibili altrove, sedotta dall’idea di avere un pezzo di Brasile a casa.
Già sapevo che la città bassa è collegata alla alta dall’antico Elevador Lacerda, ascensore in Art Deco restaurato nel 1930, con cui dal porto si arriva a Pelourinho, il centro storico coloniale più grande del Sud America, odiernamente tutelato come World Heritage Site dall’UNESCO, magistralmente restaurato e recuperato dalla malavita, attraversato da strette stradine piene di negozietti e venditori ambulanti.
Già mi ero data conto della viva presenza africana che si percepisce non solo dal colore della pelle degli abitanti, ma anche dalle tradizioni come le antiche danze rituali dell’Angola, che oggi rivivono nella Capoeira, in ancestrali balli con canti Yoruba dell’Africa Occidentale, spettacoli offerti per poche monete ai turisti per strada.
Già sapevo che Salvador de Bahia era punto nevralgico dei traffici di schiavi e di merci che percorrevano il Rio Paraguaçu, fiume che, attraversando tutte le regioni interne, costituisce la strada sull’acqua da cui le piantagioni di tabacco, cacao, canna da zucchero e tutte le merci possono arrivare ai mercati di Salvador e da lì, prendere la strada degli oceani e raggiungere i porti europei.
Già mi ero meravigliata visitando i templi Macumba e del Candomblé, con le loro premonizioni e magie nei quali, durante le suggestive cerimonie, si venerano dei che, incarnando la commistione tra riti pagani e cristiani, sono raffigurati con il volto di Santi cristiani e il cuore di potenti divinità tribali.
E avevo anche già assaporato la cucina Bahiana e soprattutto la moqueca, gustosissimo piatto a base di pesce, prima ancora di averla mangiata realmente!

In altre parole, Antonio Balduino, Jubiabà, Virginio Cabral, Guma, Doña Flor e i suoi due mariti, Gabriela, Jemanjà, sono state le migliori guide turistiche e gastronomiche, dato che, ancor prima che io vi giungessi fisicamente, mi avevano già trasportato, ognuno contribuendo alla costruzione di una tela con un personale pezzo di mosaico, nella parte di Brasile più assonante all’Africa, Salvador de Bahia!
E’ stato Jorge Amado, quindi, con i suoi libri ed i suoi personaggi a farmi conoscere Salvador de Bahia prima ancora di avervi messo piede. A parte la perfetta descrizione delle strade polverose e colorate di Bahia, la nota che mi è sembra parsa singolare e mi ha attratto nei romanzi di Amado è la presenza della gastronomia bahiana, cucina “che racchiude la superiorità, l’eccellenza, la supremazia dell’arte culinaria del paese, perché l’elemento africano e i condimenti raffinati dagli esotici sapori hanno alterato profondamente i piatti tipici del Portogallo, dando origine a un prodotto nazionale gustoso, gradevole al palato più esigente, che supera la meritata fama che caratterizza la cucina bahiana” (Manuel Querino, Costumes Africanos no Brasil).
Le descrizioni particolareggiate degli ingredienti e sapori presenti nei libri del maestro brasiliano ha portato la figlia, Paloma Jorge Amado, a raccogliere, unitamente al padre, tutte le ricette che vi compaiono in un gustoso quanto introvabile libro, “La cucina di Bahia ovvero Il libro di cucina di Pedro Archano e Le merende di Dona Flor”, pubblicato da Einaudi.
Ecco perché la prima moqueca, prima di averla mangiata a Bahia, l’ho assaporata tra le pagine di “Teresa Batista stanca di guerra”, laddove si legge “Verso le due del mattino finalmente fu servita la moqueca a poppa della chiatta – moqueca da leccarsi i baffi -, Lulu Santos ripuliva le lische del pesce, preferendo mangiare la testa, la parte più gustosa, a suo modo di vedere”, e in tanti altri libri del famoso scrittore.

La pietanza è un piatto tradizionale brasiliano a base di pesce, ora tanto comune da essere annoverata anche in un canto popolare dedicatole, il canto “A moqueca”.
Come in tutto il Sudamerica, la cucina del paese è fortemente influenzata non solo dagli Indios della zona ma anche dai conquistadores e da altre migrazioni. Il Brasile però è l’unico paese del Sudamerica conquistato dai portoghesi, ma elemento saliente della sua antropologia, è costituito dalla presenza della popolazione africana un tempo destinata a lavorare nei campi di zucchero e di caffè.

La moqueca è simile a uno stufato di pesce che si mangia in tutto il Paese ma è caratteristico di Bahia; in una versione meno “saporita”, è ampiamente consumata anche a Espírito Santo, che, da sempre, si contende con Bahia la nascita del piatto. Si serve di solito accompagnato con riso bianco e una fresca caipirinha. In realtà si tratta di un piatto unico in cui oltre al pesce, sono presenti molte verdure.
Esistono due varianti della ricetta, che corrispondono alle due diverse regioni brasiliane, in ognuna delle quali si è convinti di custodire i segreti della vera moqueca.
In quella di Espírito Santo, l’olio di palma è sostituito da quello d’oliva o di soia.
La moqueca bahiana è generalmente arricchita da gamberi e altri crostacei e tra gli ingredienti compare anche il latte di cocco. 

Il nome moqueca deriva dal termine in lingua quimbundo “mu’keka”, che fa riferimento a qualsiasi tipo di stufato a cottura lenta, comprendendo anche la carne. Per questo motivo il piatto viene indicato come moqueca de peixe. Secondo documenti storici risalenti agli inizi del 1500, la pietanza era inizialmente composta da pesce e carne. Verso la metà del secolo, i testi riportano la descrizione di un piatto a base di pesce, patate dolci e “altri frutti della terra”. Ci si avvicinava così alla moqueca nella sua versione odierna, anche se la preparazione anticamente era, con più scena, accompagnata da foglie di banano in cui era avvolto il pesce “al cartoccio”.

La moqueca è un piatto conviviale.
La pentola di argilla, indispensabile sia alla cottura che alla presentazione, viene posta al centro della tavola affinché tutti possano attingervi. Oltre al riso bianco, può essere abbinata alla farofa o al pirao, una sorta di porridge speziato di farina di manioca miscelata alla salsa del piatto.

Ricetta
Ingredienti per 6 persone
 Pesce spada, merluzzo o baccalà 1 kg
 2 Peperoni
 6 Pomodori
 2 Cipolle
 2 spicchi di aglio
 Sale Quanto basta
 Pepe Quanto basta
 Olio extravergine di oliva Quanto basta
 Latte (di cocco)100 ml
 Prezzemolo Quanto basta
 Coriandolo Quanto basta
 Chiodi di garofano Quanto basta
 Limone (succo)1/2 bicchiere

Procedimento
Pulite tutte le verdure, tagliate le cipolle a fettine sottili, i pomodori a rondelle e i peperoni a listarelle.
Preparate un’emulsione a base di latte di cocco, olio di palma e succo di limone.
In una ciotola disponete i filetti di pesce, unite i pomodori, i peperoni, la cipolla, il prezzemolo tritato, i chiodi di garofano, gli spicchi d’aglio e bagnate il tutto con l’emulsione.
Lasciate marinare i filetti di pesce per circa 1 ora.
Trasferite tutti gli ingredienti in un tegame di coccio e fate cuocere a fuoco lento per circa 30 minuti, girando di tanto in tanto.
Cuocete altri 5 minuti dal momento dell’ebollizione e regolate di sale e di pepe.
Servite la moqueca ancora calda completando con coriandolo fresco e un giro d’olio evo.

Angela de Mario

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