Con la stand up comedy “1 e 95”, Giuseppe Scoditti dimostra di avere tutti i numeri per il successo

Ogni superiore umorismo comincia con la rinuncia dell’uomo a prendere sul serio la propria persona.” (Hermann Hesse)

Il vocabolario Treccani chiarisce il significato della locuzione “avere dei numeri” individuandovi quanti abbiano tutte le qualità che ne fanno presumere il successo ovvero doti positive e buone possibilità di riuscita; in altre parole, come nei giochi popolari quali la tombola, il lotto e simili, in cui l’avere buoni numeri dà una certa garanzia di vittoria, chi viene indicato in tal modo è certamente ritenuto detentore di doti o capacità necessarie a raggiungere il proprio scopo.

Visto così, “1 e 95”, il titolo dello spettacolo di e con Giuseppe Scoditti che ha aperto l’annuale Stagione del Teatro Kismet di Bari, potrebbe sembrare addirittura una immodesta affermazione, una spavalda dichiarazione di intenti, una presuntuosa ipoteca sul futuro: niente di tutto questo. Se non dobbiamo credere ad un sottile doppio senso, la cifra in questione altro non è che l’altezza dell’attore barese trapiantato già da qualche tempo a Milano per diplomarsi alla “Civica Scuola di teatro Paolo Grassi”; eppure, se aveva ragione lo scrittore e fumettista James Thurber quando affermava che “lo spiritoso fa ridere parlando delle altre persone; il satirico fa ridere parlando del mondo; l’umorista fa ridere parlando di se stesso”, non vi è dubbio che Scoditti, assieme al suo coautore Ludovico D’Agostino, al pari dei grandi esponenti della materia del passato, dimostri, proprio a partire da quei numeri imprigionati nel titolo, un’innata propensione a scoprire, attraverso un’analisi personale, il lato comico delle cose ed a porlo in evidenza, rivelandone il potere benefico.

In realtà, avevamo già notato il nostro nell’eccellente “Il colloquio”, il recente lavoro teatrale di Marco Grossi (https://www.ciranopost.com/2020/09/27/ne-il-colloquio-the-assessment-la-nuovissima-e-convincente-produzione-teatrale-della-compagnia-malalingua-la-ricerca-di-lavoro-diventa-lotta-per-la-sopravvivenza/), in cui condivideva una più che convincente performance con un manipolo di altrettanto straordinari colleghi che mettevano in luce doti tanto comiche quanto drammatiche; quell’iniziale ottima impressione è stata oggi confermata grazie a questo esilarante one man show (o, come dicono i ben informati, stand up comedy show) prodotto dai Teatri di Bari e di Elsinor: Scoditti è un talento assoluto, un degno rappresentante di quella minoranza di straordinari attori – comici, ma non solo – che hanno fatto dell’intelligenza e della sagacia la loro arma migliore. Cercando confronti con il passato, certo viene in mente, come da molti ricordato, il miglior Walter Chiari, ma anche un genio del calembour come Tino Scotti e, in taluni momenti, il mito fantozziano di Paolo Villaggio; ma, improponibili paragoni a parte, Scoditti – finalmente! – non si macchia mai, nemmeno per un solo istante dell’incalzante ora di spettacolo, di quel ridicolo ed improponibile scimmiottare – che invece ci propinano impietosamente taluni sopravvalutati esponenti del genere in Italia – il leggendario Lenny Bruce, che l’opera cinematografica del 1974 di Bob Fosse ha consegnato alla storia, grazie anche all’interpretazione di un Dustin Hoffman in stato di grazia.

Come nella migliore tradizione umoristica, quando Scoditti, con la sua faccia da simpatica canaglia ed il suo atteggiamento dinoccolato alla Raimondo Vianello, disquisisce su argomenti anche apparentemente inviolabili come il Covid-19, va alla ricerca della parte illogica delle cose che è celata ai più, ma non ridicolizzando il mondo o l’altro, bensì scavando nel proprio habitat, scandagliando le proprie profondità, cercando in sé, spesso puntandosi addosso l’arma del paradosso, la possibile causa di quanto accade tanto a lui quanto a ciò che lo circonda. Assecondando la ferrea legge chapliniana di vedere “in ciò che sembra razionale, l’irrazionale, ed in ciò che sembra importante, il non importante”, il ventinovenne attore / comico barese trova la fonte del suo umorismo anzitutto in se stesso e, in tal modo, rinviene una coscienza personale che riesce, anche a giudicare dalle incessanti risate della sala sold out, a trasformarsi in coscienza collettiva, portando il pubblico finalmente a comprendere che solo dopo aver stanato ed incalzato il nemico interno possiamo identificare e difenderci dal nemico esterno, che solo ridendo di noi stessi possiamo superare momenti bui e tristi della nostra esistenza, anche come quello che ci è dato in sorte di vivere, perché, come diceva Gandhi, “il senso dell’umorismo è l’asta che dà equilibrio ai nostri passi, mentre camminiamo sulla fune della vita”.

Pasquale Attolico

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