“Se si suppone che le donne siano meno razionali e più emotive all’inizio del proprio ciclo mestruale quando l’ormone femminile è al suo livello più basso, allora perché non è logico dire che, in quei pochi giorni, le donne si comportino in modo molto uguale a quello in cui gli uomini si comportano durante tutto il mese?” (Gloria Steinem)
“Le cinquantenni sono la vera forza che manda avanti questo Paese: hanno perso lo status di figlie, ma si occupano dei genitori anziani, di mogli ma si occupano dei mariti, di madri, ma i figli dipendono ancora da loro, ed hanno il dovere di andare in palestra e continuare nonostante tutto a essere belle, sennò sono tagliate fuori.” (Mattia Torre)
Quando, lo scorso luglio, un destino crudele ed invidioso ci portò via la straordinaria penna di Mattia Torre a soli 47 anni, Corrado Guzzanti ne sottolineò “la curiosità, il coraggio ed il senso dell’umorismo, rari in questo mondo, rarissimi in Italia: uno che, se adesso gli dicessi “che la terra ti sia lieve”, ti scoppierebbe a ridere in faccia e ci scriverebbe sopra un monologo”, qualità che aveva già peraltro dimostrato con “La linea verticale”, il libro autobiografico, diventato poi serie tv di successo con protagonista Valerio Mastandrea, in cui raccontava la sua esperienza con la malattia e con il tumore servendosi di una surreale miscellanea di dramma e commedia.
“Perfetta”, il monologo teatrale a cui lo stesso Torre stava lavorando come regista quando è scomparso e che ha fatto tappa al Teatro Piccinni di Bari per l’annuale Stagione di Prosa del Comune di Bari e del Teatro Pubblico Pugliese, affronta un altro argomento che – a modo suo – appartiene alla sfera di quei tabù da cui – volenti o nolenti – non riusciremo mai a liberarci: il ciclo mestruale o, meglio, le quattro fasi del ciclo femminile (mestruale, follicolare, ovulazione e premestruale), analizzate attraverso il succedersi delle settimane nell’economia mensile di una donna ed individuate in quattro martedì irrimediabilmente ed ineluttabilmente identici, ma diversi, se non diametralmente opposti, nella percezione, negli stati d’animo, nelle nevrosi, nelle emozioni della protagonista, in quanto scanditi dall’alternarsi delle fasi ormonali; in altre parole, tutti i satelliti che ruotano attorno al pianeta/donna restano innegabilmente uguali a se stessi (il marito-pianta, i due figlioli riempi-lavatrice, la donna delle pulizie extracomunitaria, il traffico cittadino, il posto di lavoro, il ristorante della pausa pranzo, il fioraio dalla irrecuperabile lentezza, persino l’operatrice del call center in cerca di contratto), mentre a mutare è solo lei, con tutte le sue fasi lunari e – ci si conceda l’ironia – lunatiche.
La pièce ha parecchie frecce al suo arco, prime fra tutte la scrittura illuminata di Torre e l’interpretazione dalla famosissima Geppi Cucciari, cui il personaggio sembra essere cucito addosso, cui vanno sicuramente aggiunti il disegno luci di Luca Barbati e le musiche originali composte da Paolo Fresu, che scandisce da par suo le diverse fasi dei circa ottanta minuti di spettacolo, eppure – spiace dirlo – non sempre raggiunge il cuore degli spettatori, risultando uniforme e talvolta, finanche, scontata, pericolo senza dubbio insito nella scelta drammaturgica cui, però, non si è tentato nemmeno di fronteggiare con qualche brusca ma adrenalinica sterzata.
Con questi presupposti, anche la recitazione della pur bravissima Cucciari, fasciata di nero con geometrica semplicità in un abito di Antonio Marras, risulta inappuntabile, a volte esilarante, altre poetica, ma, spesso, fin troppo misurata e rigida, anche quando il testo le permetterebbe di prodursi in reazioni viscerali; occorre però affermare che se il tentativo, peraltro pregevolissimo e degno di plauso, fosse quello di tenere fede a quell’iniziale impegno preso dalla protagonista di “non piangere” qualunque cosa le accada in uno dei mesi più difficili della sua già vita da venditrice d’auto, nonché a ricordare che “l’unico atto politico possibile è la gentilezza”, allora il lavoro ha davvero raggiunto il suo scopo, riuscendo a raccontare, senza ricorrere a facili isterismi, tutta la complessità delle donne ma, anche e soprattutto, la loro assoluta e totale indispensabilità in un mondo ancora tenacemente ed ottusamente al maschile, il loro essere talmente belle, ipnotiche, variabili, affascinanti e luminose da poter essere paragonate solo all’immensa luna.
Pasquale Attolico