“Questo è veramente un uomo! Di solito, invece, tutti i figli della terra portano stampato sulla fronte il marchio del loro tempo e delle loro debolezze; soltanto Brahms sa sciogliersi da tutte le umane relazioni, non farsi toccare dalle sporcizie e dalle miserie della vita e slanciarsi verso un’altezza ideale, dove noi possiamo solo seguirlo con lo sguardo ma non raggiungerlo.” (Hermann Levi).
“La melodia, come rivelata nelle più grandi opere dei nostri classici, è uno dei doni più nobili che una divinità invisibile abbia conferito all’umanità.” (Richard Strauss)
Il primo concerto del 2020: il primo sold out.
Lasciateci dire che non ne siamo affatto sorpresi.
La nuova strabiliante Stagione approntata dalla Fondazione Petruzzelli, già ampiamente presentata su queste pagine (https://www.ciranopost.com/2019/09/13/fondazione-petruzzelli-ecco-la-sorprendente-stagione-2020/), si apre esattamente come si era chiusa la precedente, con lo straordinario successo di pubblico e di critica che ha salutato l’ennesima magica serata, ancora una volta resa memorabile dalla compiuta commistione di tutti gli elementi e di tutte le forze in campo.
Grande merito, come sempre, va al programma approntato per questa inaugurazione della sezione concertistica: poco più di un’ora di splendida musica, suddivisa tra il “Doppio Concerto in la minore” di Johannes Brahms ed il celeberrimo “Also sprach Zarathustra” di Richard Strauss.
Per realizzare il Doppio Concerto per violino e violoncello, volendo creare una composizione che fosse degna della riconciliazione con il violinista Joseph Joachim, al quale aveva già dedicato il Concerto per violino op.77, che andava a ricostituire un antico e prolifico sodalizio artistico e di amicizia, in realtà Brahms sacrificò gran parte del materiale concepito, in origine, per la Quinta Sinfonia, cosicché l’opera 102 non solo è il suo ultimo Concerto, ma anche la sua ultima produzione sinfonica in assoluto. “La mia folle, ultima composizione”, sentenziò il genio di Amburgo fresco cinquantaquattrenne, probabilmente presagendo che, dopo essa, mai più si sarebbe accostato all’orchestra; forse anche perché mosso da questa opprimente sensazione, il Doppio Concerto appare intriso di soluzioni stilistiche differenti rispetto a quelle dei precedenti lavori, rivelando una cifra stilistica mai così matura ed ispirata, ma anche una costruzione estremamente complessa, con quelle continue contrapposizioni fra i due solisti e l’orchestra, che ne rendono non sempre agevole l’approccio, anche ad un pubblico competente, come testimoniato dalle molteplici critiche tiepide, se non negative, succedutesi nel tempo.
Perplessità che non hanno potuto avere la meglio sulla splendida interpretazione dell’Orchestra del Teatro Petruzzelli, con il violino di Ilya Grigolts ad interpretare la parte che, alla prima assoluta di Colonia nel 1887, fu di Joachim, il violoncello di Nicolas Altstaedt in luogo di quello di Robert Haussmann, che era membro prediletto del celebre quartetto d’archi capitanato dallo stesso violinista, e, soprattutto, la presenza del Maestro Giampaolo Bisanti sul podio che, a suo tempo, fu occupato dal sommo compositore; il vigore esecutivo dei due giovani ma già affermatissimi solisti, particolarmente di Altstaedt, e della nostra granitica Orchestra, magnificamente guidata, con gesto imperiosamente coreografico, dal “suo” Direttore, rendeva la musica del Doppio Concerto viva, pulsante, quasi palpabile, nient’affatto ostica, bensì di straordinaria portata espressiva, così da farci realizzare appieno quel che l’ispirata scrittrice Maria Kuncewiczowa sperimentava quando affermava che “in Brahms sono una cosa sola la tristezza e la gioia, la vittoria e la disfatta. Non c’è posto né per il desiderio, né per il rimpianto. Non ci sono segreti. C’è tutto.”
“Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno” di Friedrich Nietzsche aveva, come è noto, ispirato l’opera omonima di Richard Strauss, grazie a quel linguaggio nuovo, a quella inedita visione del mondo, a quello stile iniziatico che annunciava l’annientamento del razionalismo socratico e cristiano tramite i tre pensieri cardini della sua filosofia: l’eterno ritorno di ogni cosa, l’uomo oltre l’uomo (il cosiddetto “superuomo”), la volontà di potenza.
In realtà il compositore tedesco non aveva mai avuto alcuna intenzione di musicare il contenuto dei quattro libri di Nietzsche, come aveva peraltro riportato nel frontespizio della partitura, decisione cristallizzata nella totale assenza della voce umana e, quindi, di parole che potessero replicare il senso dell’opera letteraria.
Nello Zarathustra musicale è, comunque, possibile cogliere tutte le convinzioni di Strauss, estrapolate dall’estetismo ellenizzante, condiviso da gran parte della cultura tedesca dell’epoca, fondato sulla supremazia della forza primaria della natura e dell’arte; eppure – occorre ricordarlo – renderle in tutta la loro mirabile ricchezza di invenzioni e di mezzi è ben altra cosa che immaginarle sul pentagramma: ci sono riusciti, in modo assolutamente inappuntabile, il Maestro Bisanti e l’Orchestra del Teatro Petruzzelli, regalandocene una interpretazione poderosa, possente, ipnotica, dal valore inestimabile, perfetta dalla prima nota – quel celeberrimo input in do maggiore reso immortale anche dall’epopea fantascientifica cinematografica del capolavoro kubrickiano “2001: Odissea nello spazio” – all’ultimo sospiro, impareggiabile tanto per padronanza tecnica quanto per passione interpretativa, tesa a restituire ogni pur impercettibile relazione tra costruzione concettuale e disegno sonoro, esaltando, con sublime magnificenza, il discorso musicale di ogni singolo strumento e, infine, liberando tutta la potenza di cui solo un gigantesco – e non sia detto esclusivamente in virtù dei tanti musicisti impegnati – ensemble è capace.
Pasquale Attolico