“Preljocaj can choreograph magic!” (The Guardian)
“Nell’universo non c’è un punto fisso, si può considerare valida ogni prospettiva. Mi piace l’idea che ogni movimento, abbia la stessa valenza. E non esiste un movimento più bello dell’altro, così come nella musica un do diesis non è meglio di un sol. È bella la relazione fra le parti. È così anche nella vita: non si esiste se non in relazione agli altri.” (Angelin Preljočaj)
Ottanta minuti di magia pura, bellezza limpida, luminosità accecante, occhi rapiti, fiato sospeso, muscoli tesi, evoluzioni ipnotiche, emozioni ineffabili: questo e molto altro è “La Fresque (L’affresco)”, la magnifica coreografia firmata da Angelin Preljočaj per la Compagnia che porta il suo nome, giunta sul palco del Teatro Petruzzelli di Bari per quattro appuntamenti (repliche sino a domenica 24 novembre) inseriti nella parte finale del cartellone della Stagione 2019 della Fondazione Petruzzelli.
Francese, ma di origine albanese, Preljočaj non solo è tra i migliori coreografi del panorama della danza contemporanea, ma appare oggi impareggiabile in quanto ad estro e talento; artista mai domo, in continua progressione artistica, fermamente convinto che la danza debba andare verso la gente, rifugge ogni ripetitività e duplicazione, motivo per cui lascia ai suoi danzatori la possibilità di interpretare il movimento a loro piacimento, indossandolo come l’abito che sentono più consono, lasciando che sia poi lo spettatore ad interpretarlo come meglio crede, come la propria sensibilità gli suggerisce.
In realtà, in questa pièce forse più che nelle sue precedenti prove, Preljočaj si lascia piacevolmente irretire – e noi con lui – dalla bizzarra storia raccontata dalla fiaba della tradizione cinese “La pittura sul muro”, cedendo al desiderio di narrare danzando. Due giovani viandanti si ritrovano, invitati da tre monaci, dentro un tempio a osservare un incantevole affresco rappresentante cinque giovani fanciulle, quando gli sguardi di una di loro colpisce uno dei due che, preso da una sorta di sindrome di Stendhal, viene travolto dall’amore e si ritrova all’interno della pittura a vivere la sua avventura che culminerà nelle nozze, prima di abbandonarsi ad un sonno profondo; al risveglio, scoprirà di aver sognato tutto, anche se, nel dipinto, la sua amata non sfoggia più capelli sciolti bensì uno chignon, ornato con uno dei fiori donatele dal suo sposo.
La trama, comprensibilissima nella sua semplicità ed essenzialità, non scalfisce in alcun modo la costante evoluzione della danza né arresta l’incessante ricerca del coreografo (presente ed applauditissimo al termine della prima barese, come tutta la sua Compagnia, per oltre dieci minuti da un pubblico attentissimo) e la sua personalissima indagine filosofica, che di certo affonda le radici nel mito della caverna di Platone, sulla relazione esistente tra realtà e rappresentazione, verità ed illusione, vita e morte, e sulle odierne possibilità dell’arte di rappresentarla.
Grazie alla sua altissima cifra stilistica, sempre al servizio di una danza pregna di raffinata gestualità, ed ai fondamentali apporti del compianto Azzedine Alaïa per i costumi, Constance Guisset per le scenografie, Éric Soyer per le luci e Nicolas Godin, co-fondatore del gruppo degli Air, per la musica, Preljocaj, lasciando che l’estetica astratta conviva con l’emotività narrativa, scandaglia il fondo del sommerso universo delle contrapposizioni con una danza elegante ed esplosiva allo stesso tempo, per creare un’altra delle sue ormai innumerevoli meraviglie; nel nero dominante, i dieci sublimi danzatori, nel loro inarrestabile flusso di repentine corse bruscamente interrotte, di cadute sospese, di incontri giocosi e scontri irati, ci consegnano una performance aerea. In tal modo, i loro corpi, liberati dalla rigida gabbia in cui sono costretti, diventano strumenti per la trasmissione di nuovi codici, di inedite figurazioni e di avveniristici linguaggi poetici, alla ricerca di inesplorati territori estetici, in continua e suggestiva oscillazione tra mondi apparentemente inconciliabili; è il frutto di un’alchimia che appartiene solo ai capolavori, categoria alla quale di certo appartiene “La Fresque”.
Pasquale Attolico