Let the sunshine in! L’intramontabile sole della pace risplende al TeatroTeam di Bari

Dentro di noi, in qualche luogo, c’è uno slancio di grandezza che sa cosa ci aspetta. Costruisco il mio futuro nello spazio; in segreto il silenzio mi dice ogni cosa. (…) Il resto è silenzio.” (dal brano “The flesh failures / Let the Sunshine in”)

29 ottobre 1967: al Shakespeare Festival Theatre di New York va in scena un musical scritto da due promettenti attori disoccupati, James Rado e Gerome Ragni, i quali, grazie alle meravigliose musiche di Galt MacDermot, costruiscono “Hair”, uno spettacolo che riesce a riportare fedelmente il clima di vivacità iconoclasta della stagione di protesta dei figli dei fiori. Dopo le prime difficoltà, soprattutto economiche, la perfetta miscela di rock, scandalo (con un nudo integrale dell’intera Compagnia che si ripete ogni sera) e tradizione, conquista presto Broadway, con un cast d’eccezione che, oltre i due autori, annoverava la mitica Diane Keaton, e che restò in cartellone per poco meno di 2000 rappresentazioni.

Ebbene, non abbiamo nessuna difficoltà ad affermare che se ogni essere vivente potesse assistere almeno una volta nella sua vita – ammesso che possa bastare – ad una rappresentazione di quella mitica opera rock, il mondo sarebbe certamente un posto migliore. Bene ha fatto, dunque, il TeatroTeam di Bari ad inserire nel cartellone della Stagione 2019 ben due repliche dell’ultima versione italiana, prodotta da MTS Entertainment in collaborazione con Compagnia della Rancia, con la regia di Simone Nardini, che ha realizzato anche le scene ed i costumi, la supervisione musicale di Stephen Alexander Lloyd, la direzione musicale e canora rispettivamente di Eleonora Beddini e Pasquale Girone Malafronte, le coreografie di Valentina Bordi e le luci di Valerio Tiberi.

E l’emozione si è rinnovata, forte, indescrivibile; un corto circuito emozionale che ci ha immediatamente riportato a quando siamo stati adoranti spettatori delle rappresentazioni teatrali che arrivavano d’oltreoceano o anche a quando – imberbi adolescenti – abbiamo assistito per la prima volta al capolavoro cinematografico che Milos Forman realizzò nel ’78, creando quell’opera unica ed irripetibile in cui più di una generazione si è riconosciuta, erroneamente sovrapponendola al musical teatrale, mentre, pur essendo stata scritta dagli stessi autori, se ne differenzia in modo sostanziale, non solo nella trama ma anche nella sequenza dei brani musicali.

Questa nuova versione “italiana” appare perfettamente in linea con il passato, pur accennando un timido riferimento ai nostri tempi nel prologo al buio, in cui è contenuto un chiaro riferimento critico alla politica di Trump, ed anche se non tutto fila sempre via liscio nella traduzione del libretto, realizzata dallo stesso Nardini e da Sandro Avanzo, il ritmo è comunque serratissimo; così pure l’ottimo cast, tra cui vanno ricordati il Claude di Stefano Limerutti, Berger di Gennaro Pelliccia, Sheila di Vittoria Brescia, Hud di David Marzi, Woof di Edoardo Franchetto, Ronnie di Alice Tombola, Jeanie di Sara Di Fazio, una spassosissima Margaret Mead di Matteo Minerva, Crissy di Elga Martino e Walter di Paolo Broscritto, assieme a tantissimi altri bravissimi ballerini / cantanti, se non sempre appare del tutto convinto quando deve recitare un testo che – forse – non tutti gli attori sentono sulla loro pelle, non riuscendo a lasciarsi ancora oggi attraversare da quelle meravigliose ideologie, da quelle stesse positive vibrazioni, ed essere, anche loro, portatori sani di una filosofia di vita che sfida il tempo, tuttavia nei tantissimi momenti musicali – rigorosamente in lingua originale – rasenta sempre e spesso raggiunge la perfezione, grazie allo sforzo di tutti gli interpreti e l’apporto di straordinari musicisti impegnati dal vivo, in modo che brani immortali del calibro di “Aquarius” (probabilmente la miglior apertura che spettacolo abbia mai avuto), “Manchester”, “I got life”, “Frank Mills”, “Hair”, “Easy to be hard”, “Good morning starshine” e “Let the sunshine in”, possano rinascere a nuova vita, essendo riusciti a preservarne tanto l’esplosiva forza prorompente quanto l’impareggiabile vena melodica, nonché, soprattutto, quella immutata voglia di denuncia che ci spinge ancora una volta a levare altissimo il nostro grido contro la guerra, contro ogni guerra, ed a chiedere ancora a gran voce Pace.

Let the sunshine in!

Pasquale Attolico

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