
Quando si pensa ad Anton Čechov vengono subito in mente opere come Le tre sorelle, Il giardino dei ciliegi, Il gabbiano, pietre miliari del teatro e luoghi di indagini finissime dell’animo umano.
Ma Čechov è anche Scherzi, una serie di atti unici, alcuni dei quali scritti nello stile del vaudeville. Opere estremamente dinamiche, che rivelano una raffinata capacità di costruire meccanismi comici, di tessere dialoghi realistici in situazioni grottesche, di posare uno sguardo profondo sull’uomo, colorandolo di un’amara ironia.
Sempre lui, riconoscibile nel tratteggio di antieroi che cercano invano di padroneggiare la propria esistenza; puntuale nel ridicolizzare e smascherare la classe borghese; profondo ed efficace nel descrivere la meschinità dell’animo umano e la sua terribile solitudine.
Qui però il ritmo, la brevità del testo e il linguaggio conferiscono una certa leggerezza, un’aria frizzante che emoziona senza sentimentalismi, che vela di un sorriso ironico persino la narrazione dell’angoscia.
Questi atti unici raccontano tra l’altro la comicità di alcune situazioni quotidiane, anche se, nel farlo, toccano con mano leggera il dramma della vita stessa, ingovernabile e incoercibile.

Gli Scherzi scelti da Te.Ti – Teatro dei Titani e messi in scena all’Auditorium Vallisa di Bari, sono tra i più famosi: Tragico controvoglia, La domanda di matrimonio, L’orso.
Sul palco quattro attori che negli anni si sono formati (anche, ma non solo) in quella fucina che è la Compagnia Diaghilev, e che hanno ormai raggiunto una maturità davvero notevole. Altea Chionna, Antonio Carella, Alessandro Epifani, Francesco Lamacchia recitano con una passione contagiosa e una sinergia profonda che, al di là del pregevole valore dei singoli, dona all’intera serata una magia tutta particolare.
Francesco Lamacchia cura anche la regia dello spettacolo, accentuando il lato grottesco e farsesco, giocando sul contrappunto, sul ritmo incalzante, e facendo “partecipare” persino la scenografia (di Michele Tataranni) al senso e allo svolgersi del racconto. I cambi a scena aperta (che qui sono una necessità) ridefiniscono spazi e situazioni senza mutarli completamente, quasi a creare uno sfondo unico, comune, che in qualche modo collega le diverse vicende.
Dello stesso Lamacchia è il monologo di apertura: Tragico controvoglia. Una struttura tutto sommato elementare: il racconto di un uomo schiavo di una moglie capricciosa e prepotente, e di vicini che approfittano di lui, rimasto al lavoro in città mentre loro sono in villeggiatura, e ai quali non riesce a dire di no, sobbarcandosi commissioni e richieste fastidiose e gravose. Lamacchia riesce, con voce e corpo, a creare un crescendo di rabbia impotente e angoscia, e nello stesso tempo a velare il racconto di una comicità che tutto sommato ci fa ridere, pur comprendendone il carattere drammatico.
La scena si popola e in qualche modo si alleggerisce nel secondo atto unico, La domanda di matrimonio, un vaudeville che getta uno sguardo comico e sarcastico sull’animo umano che, messo a nudo in situazioni di tensione emotiva, rivela la propria pochezza. E così, durante una visita finalizzata ad una proposta di matrimonio (più legata a raggiunti limiti di età che a sentimenti di amore), partendo da una piccola disputa sulla proprietà di un insignificante prato e sulle capacità venatorie dei rispettivi cani, due giovani cominceranno a scambiarsi piccate precisazioni che ben presto diventeranno invettive, in un crescendo di battibecchi e insulti. Nessuno ne uscirà bene. Gretti e meschini, sono il ritratto di una borghesia ottusa, ma anche l’immagine dello scontro tra i sessi, del disincanto sul matrimonio e dell’utopia della felicità familiare. Il precario equilibrio, che sembra comporsi nel finale, non è superamento del conflitto ma fragile tregua, e spia dei rapporti di forza che si definiranno in futuro. Althea Chionna e Antonio Carella, con il perfetto contrappunto di Alessandro Epifani (nel ruolo di padre della promessa sposa) danno vita ad un’esilarante e vivacissima pièce, con piglio energico e ritmo molto sostenuto.

Infine tutti in scena (anche se qui Lamacchia si ritaglia un ruolo del tutto particolare) per l’ultimo atto unico, L’orso, in cui l’indagine sui sentimenti assume toni più pacati e complessi.
Una giovane vedova (Altea Chionna) è decisa a vivere rinchiusa per il resto dei suoi giorni. Consapevole dei ripetuti tradimenti del marito defunto, si impone di continuare ad amarlo e ad essergli fedele, quasi una sfida con se stessa che il fedele servitore (Alessandro Epifani) cerca invano di scoraggiare. Una vita sentimentale tragica, una vittima che decide di rimanere vittima. Ma anche il creditore che piomba a casa sua (Antonio Carella), pretendendo una somma dovuta dal defunto marito, ha sulle spalle relazioni fallimentari e una profonda disillusione nei confronti dell’amore. Nelle prime battute ciascuno vede nell’altro il rappresentante dell’intero genere che li ha fatti soffrire. Ma lo stallo legato ad una temporanea indisponibilità del denaro e la convivenza forzata favoriranno, loro malgrado, l’incontro, lo svelamento reciproco e la nascita di un sentimento disarmato e finalmente accogliente. Forse qui più che altrove torna un elemento ricorrente nel disegno dei personaggi di Čechov: nella loro complessità psicologica e caratteriale, vengono a trovarsi in situazioni assurde a causa delle loro convinzioni o di un’acritica adesione ad un principio non più valido. Così, in balia di emozioni forti e contrastanti, passano inconsapevolmente dall’odio all’amore e viceversa. Qui è la determinazione della donna a far capitolare il misogino che si innamora perdutamente di lei e della sua forza d’animo. Ma più in generale ci sembra che anche negli altri atti unici siano le donne a condurre il gioco e a condizionare l’esistenza degli uomini.
Se vogliamo ritrovare un filo che unisca le tre pièce, possiamo dunque pensare al tema dei rapporti fra i sessi, che Čechov racconta con feroce disincanto e amara ironia, soffermandosi sulle piccole avventure e disavventure di tutti i giorni. Il ritratto di un mondo complesso, di una società, ma soprattutto dei sottili movimenti dell’animo umano. Ed è questo che lo rende universale e sempre capace di parlare ancora oggi al nostro cuore.
Uno spettacolo gradevolissimo, con attori calati perfettamente nei rispettivi personaggi, efficaci nei cambi di registro, nell’interazione reciproca, nel sostenere il ritmo serrato di queste bellissime pagine cechoviane.
Imma Covino
Foto dalla pagina Facebook della Compagnia