
“Quando ho saputo della sua morte, ho sentito uno scoppio dentro.
Con certe morti succede.
Ti volti, ed è sparito un pezzo di paesaggio.
Una montagna, un bosco.”
[Paolo Di Paolo]
Queste parole esprimono perfettamente quanto ho provato – e sono certo di poter affermare di non essere stato l’unico – dopo aver ricevuto la telefonata della amatissima figlia Viola che, in lacrime, mi comunicava che Nicola Raimondo non c’era più.
“La telefonata che non avremmo mai voluto ricevere”, si dice spesso.
Nel caso di Nicola è diverso. Nel caso di Nicola possiamo parlare della telefonata che mai avremmo pensato di dover e poter ricevere.
Perché Nicola appartiene a quella ristretta cerchia di uomini che siamo portati a credere di poter trattenere perennemente al nostro fianco, cui poter sempre far riferimento, immancabili, imprescindibili, perpetui, eterni, immortali.
Grazie a legami familiari e di amicizia che condividevamo, ho avuto il grande privilegio di conoscere Nicola quando ero poco più che un adolescente, ed ero stato subito attratto, oltre che dalla sua immensa signorilità, dalla sua innata giovialità, dalla sua smodata simpatia e, soprattutto, dalla sua calviniana leggerezza, ma a quei tempi – pur riconoscendo subito in lui caratteri cui idealmente aspiravo – non ebbi il coraggio di stringere quei lacci che invece ci avrebbero legato negli anni successivi.
L’ho incontrato tempo dopo nei meandri del Palazzo di Giustizia, in cui lui si muoveva con assennata saggezza, giustamente riconosciuta da tutti gli operatori del nostro settore, quando si lanciò in una accesa reprimenda contro chi aveva avuto modi poco cortesi nei confronti di un giovane avvocato alle prime armi – se ci penso ora, credo di non averlo mai ringraziato abbastanza per avermi difeso in quell’occasione, e lo ha fatto pur non avendomi riconosciuto: consentitemi di farlo adesso pubblicamente -; fu quello il momento in cui lo elessi, a sua insaputa, a mio teorico Maestro.
In seguito però, quando le nostre strade si sono unite indissolubilmente ed intimamente nella straordinaria avventura del Cirano Post, allora sì che l’ho finalmente e giustamente chiamato innumerevoli volte ‘Maestro’, ricevendone sempre la stessa risposta in dialetto barese con cui si dileggiava amabilmente. Dal momento in cui lo invitai ad entrare nei ‘Guasconi’ della Redazione della nostra testata giornalistica, offerta che lui accettò ancor prima che io terminassi il mio ‘discorsetto’, il suo apporto fu fondamentale: sempre presente, sempre partecipativo, sempre propositivo, un vulcano in costante eruzione traboccante di idee che riversava nei suoi straordinari articoli, ha saputo donare, in un tempo relativamente piccolo, tantissimo al nostro sparuto drappello di amanti della scrittura nonché ad ognuno di noi singolarmente, arricchendo me di momenti che fanno parte dei miei ricordi più belli che – mi consentirete – conserverò gelosamente nella mia mente e nel mio cuore; i lunghi messaggi quotidiani, le chiacchierate telefoniche, i progetti in pectore che ogni giorno partoriva in modo così rapido da non riuscire a stargli dietro, formano e formeranno sempre l’ossatura della mia esperienza di vita, una inestimabile fortuna che – lo so bene – condivido con chiunque ha potuto incontrarlo sulla sua strada e oggi, scandagliando i propri ricordi, non potrà non ritrovarvi integre e intonse queste stesse peculiari qualità.
Una Voce ben più profonda e limpida della mia, giustamente amata, rispettata e seguita da molti, lo ha pubblicamente definito “cantastorie di un mondo che forse non c’è più”, sottolineandone l’entusiasmo con cui affrontava ogni sua nuova sfida, un entusiasmo che trasmigrava incessantemente nella passione per poi farsi dono di puro amore che sapeva trasmettere sempre ad ognuno di noi.
Perché Nicola ha messo il cuore in ognuna delle sue molteplici attività e, per questo, ha ricevuto tanto amore, ma, soprattutto, ha donato tanto Amore, e questo fa di lui uno straordinario, irreplicabile, incomparabile ‘amante amato’ della vita.

“Ed ora come faremo?” si chiede quella stessa Voce.
“Ed ora come faremo?” ci chiediamo tutti.
È questa la domanda che ci rimbalza contro ogniqualvolta siamo costretti a scoprirci orfani di una figura grande come quella di Nicola.
Ed ora?
‘E mo?’ avrebbe certamente detto lui.
Trattandosi di Nicola, non possiamo non dare ascolto alle parole di Sant’Agostino che affermava che “la nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza”. Dunque, quello che eravamo prima lo siamo ancora, possiamo – anzi dobbiamo – chiamarlo con il nome che ci è familiare, continuare a parlarne al presente, parlargli nello stesso modo affettuoso che abbiamo sempre usato, continuare a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme, ritrovare il suo cuore in una tenerezza purificata.
Se hanno ragione Edgar Lee Masters e Albert Pine nel dire rispettivamente che “ciò che facciamo per noi stessi muore con noi, ma ciò che facciamo per gli altri e per il mondo rimane ed è immortale” e che “l’immortalità non è un dono, ma è una conquista; e solo coloro che lottano allo stremo potranno possederla”, allora non vi è dubbio che Nicola come pochi altri se la sia conquistata la sua immortalità.
Quindi, mi perdonerete se io non saluterò Nicola, non gli dirò “Ciao” né, come è nello stato naturale delle cose, “Arrivederci”, ma – certo della immutabilità della risposta che mi avrebbe dato e mi darà – gli dirò solo “Grazie Maestro. Grazie sempre.”
Pasquale Attolico
Ho letto della persona e delle sue infinite doti. Mi arriva il dolore puro. Ho pensato ai momenti di schianto, a quelle telefonate che fanno da spartiacque tra il prima e il dopo una presenza speciale. Per grazia ricevuta, l’amore salva. L’amore reinventa. L’amore non muore.