
Può un padre perdonare una figlia che è stata capace di uccidere una persona a te molto cara?
È questa la domanda che ci accompagna per tutta la durata dell’atteso, bellissimo film “Una figlia” di Ivano De Matteo, presente nelle sale cinematografiche dal 24 aprile. Mentre in “Mia” il regista mette al centro della storia una splendida adolescente, vittima di un manipolatore senza scrupoli, in questo lavoro è la giovane protagonista a compiere un’azione insana, istintiva, esplosiva, che le cambierà drasticamente la vita.
La tragedia si consuma inaspettatamente – un pugno nello stomaco – in una delle prime scene del film. Accade tutto durante una banale discussione tra Sofia, una adolescente splendidamente interpretata da Ginevra Francesconi, e la compagna del padre, interpretata dall’attrice Thony, che per la ragazza è solo una presenza ingombrante e fastidiosa, che sta cercando di prendere il posto di sua madre, deceduta qualche anno prima.

Nella realizzazione del film, De Matteo si è liberamente ispirato, insieme alla cosceneggiatrice Valentina Ferlan, al libro “Qualunque cosa accada” di Ciro Noja (ed. Astoria, 2018), al suo esordio letterario. Ma è difficile, durante la visione del film, non ripensare al delitto di Novi Ligure, quando una giovane sedicenne, Erika, uccise a coltellate la madre e il fratello, aiutata dal suo fidanzatino, Omar. Le cronache rivelarono fin da subito la propensione del padre a perdonare la figlia e a starle vicino durante la sua detenzione.
In questa pellicola ci troviamo, invece, almeno in una prima fase, di fronte ad un padre, Pietro, interpretato da un convincente Stefano Accorsi, drammaticamente combattuto tra una rabbia incontrollabile e l’amore per la figlia, tra il dolore da scardinare e l’istinto paterno, tra il categorico rifiuto di perdonare e la capacità di riuscire a farlo. Un padre, dunque, alla ricerca di un modo per affrontare una situazione così devastante e straziante, mentre i social compiono, inevitabilmente, la loro azione di massacro becero, perverso e disumano, a cui è sempre difficile sottrarsi.

Un film che indaga con occhio attento sui comportamenti umani, anche quelli più irresponsabili; un film che racconta, senza edulcorazioni, situazioni difficilissime da affrontare, perché si portano dietro un carico di dolore così intenso e profondo da farci sentire fortemente “dentro” alla storia. Ma il dolore, palpabile e dirompente in questa pellicola, ha le sue strade e deve percorrerle tutte – anche se non è mai semplice – per poter permettere ai protagonisti la loro rinascita, alla quale contribuisce un’amica di Pietro (Michela Cescon), l’avvocata che li accompagnerà durante questo percorso di risalita dai bui abissi della disperazione alla luce della svolta.
Ed ecco che torno alla domanda che ci accompagna durante il film: può un padre perdonare una figlia che ha assassinato la tua compagna o è forse più giusto voltarsi dall’altra parte, abbandonandola al suo destino di giovane carcerata?

Tra sorprese e colpi di scena, sarà Sofia a prendere la drastica decisione finale, a fare la sua scelta dirimente, a decidere se continuare ad essere una figlia che ha ottenuto il perdono del padre tanto amato, o smettere di essere figlia, perché un nuovo e inatteso evento la farà crescere, la farà diventare donna e le farà assumere un inedito, inaspettato, importante ruolo nella propria vita.
Tutto mentre il padre pronuncia le parole finali, forti, profonde, graffianti: ”Un genitore non può mai smettere di essere un genitore, qualunque cosa accada”.
“Qualunque cosa accada”, proprio come il titolo del libro a cui il film si è ispirato.
“Per essere felici bisogna eliminare due cose: il timore di un male futuro e il ricordo di un male passato”. (Lucio Anneo Seneca)
Ornella Durante