“Cats”, il musical capolavoro di Andrew Lloyd Webber, ammalia il pubblico del Teatroteam di Bari con la nuova ambientazione romanesca voluta da Massimo Romeo Piparo

Cosa mai si potrebbe aggiungere al fiume di parole che – a 40 anni dal suo debutto a Londra nel New London Theatre (correva l’anno 1981) – sono state scritte in diverse lingue del mondo per descrivere il musical che ha superato record di spettatori, incassi e longevità e che dall’anno successivo è stato rappresentato a Broadway per 18 anni di fila?

In esclusiva regionale, “Cats“, l’originale spettacolo di Andrew Lloyd Webber, ispirato alla raccolta di poesie dedicate ai gatti di T.S. Elliot dal titolo “Old Possum’s Book of Practical Cats” (“Il libro dei gatti tutto fare” del Vecchio Opossum – pseudomino del premio Nobel), è approdato al Teatroteam di Bari con la firma del più attivo e creativo regista, produttore e adattatore di musical italiano, Massimo Romeo Piparo, che ha ottenuto, per la prima volta al mondo, l’autorizzazione ad ambientarlo a Roma, città ben nota per le sue numerose colonie feline e per l’amore che nutre per esse.

La meravigliosa scena – curata da Teresa Caruso – nella quale si muovono gli abili e numerosi artisti, è quella di una ipotetica “discarica” di opere d’arte che vede sullo sfondo l’imponente Colosseo. In accurate e strepitose vesti da gatto, truccati di tutto punto (ma quanto tempo ci avranno messo per assumere quelle splendide sembianze?) ammaliano i virtuosi umani “micetti” che ballano, cantano, saltano e volteggiano sul palcoscenico e tra il pubblico in sala come non ci fosse un domani senza mostrare fatica alcuna e/o goccia di sudore che giustificheremmo considerando sia gli abiti di scena che la temperatura percepita all’interno del teatro.

Dopo lo spiritoso inchino a suon di “miao” di alcuni dei maestri che hanno mirabilmente suonato dal vivo purtroppo dietro le quinte, diretti dalla speciale bacchetta di Emanuele Friello, che nei suoi giovani trascorsi ha fatto parte dell’orchestra originale londinese, veniamo presi dall’arte canterina affabulatoria dei dolci musetti con i baffi che, senza far mancare i tipici miagolii e soffi, ci narrano la storia che ogni anno, sotto gli occhi attenti della luna piena, si ripete come un rituale tra i gatti del quartiere Jellicle. Ognuno di loro, come narra Elliot, ha tre nomi, uno (ridicolo) da usare in famiglia, uno più dignitoso e l’altro che nessun umano potrà scoprire. Durante il ballo, le cui musiche ben ritmate ci rallegrano, Old Deutoronomy, il gatto filosofo più anziano, d’imponente presenza, interpretato in questo cast dall’eccellente tenore Fabrizio Corucci, ha il supremo compito di scegliere e annunciare chi tra loro potrà rinascere a nuova vita Jellicle. Da qui, ogni gatto, giovane e meno giovane, sfila davanti al proprio capo, danzando e cantando e cercando di far risplendere le proprie doti per giungere vittorioso all’ambito premio.

Durante l’insolita e variopinta kermesse, con aria dimessa per via di un destino non proprio fortunato, appare timidamente la gatta Grizabella, per l’occasione interpretata da Chiara Canzian (figlia d’arte), che con vesti feline vissute (volutamente di colore nero) abbozza al termine del primo tempo la celebre ed emozionante canzone “Memory” (che in italiano risulta ancor più toccante), di poi ripresa nel secondo tempo nella sua versione integrale e con molta più potenza vocale facendoci questa volta rivivere i brividi provocati anche dal ricordo che assale pensando alla struggente interpretazione che ne fece di Barbra Streisand. Al termine della nostalgica e convincente invocazione, la scelta del saggio Old Deutoronomy non potrà che ricadere su di lei. E così la festa continua e diventa sempre più bella perché tutti i protagonisti a quattro zampe si mostrano senza risparmiarsi, ed è cosi che, tra gli altri, apprezziamo Admetus, dal pelo bianco e nero che è l’unico a difendere in diverse occasioni Grizabella dall’ostilità della colonia che non nasconde il suo disappunto per avere la stessa tempo addietro lasciato la comunità. E poi Rum Tum Tugger, gatto affascinante che fa impazzire le gattine anche per le sue doti canore ma che si annoia con estrema facilità; il vecchio e tremolante Gus, e poi Macavity, il gatto randagio dal lungo paltò e dal cappello a falde larghe che sotto gli occhi dei suoi simili riesce a rapire il gatto filosofo che, però, viene salvato dalle magie del gatto in smoking – Mister Mistoffelees – grazie alle quali ricompare sulla scena allo scuoter di bacchetta.

Ma il palcoscenico non si illumina solo grazie a loro, altri meravigliosi gattini e gattine, dalle ugole incantevoli, e dalle notevoli capacità nell’arte della danza che si impreziosisce di movimenti sinuosi, ci raccontano la loro storia con modalità divertenti e straordinarie, in un ritmo serrato, non mancando di farci vivere momenti romantici. Il sapiente e frequente gioco di luci che preannuncia apparizioni fuori campo rende, di par suo, assolutamente dinamico e fantastico uno spettacolo che ancora e ancora siamo certi riuscirà a riempire le sale dei teatri in tutto il mondo.

Grazie alla generosità del cast non è mancato il momento selfie tra i Jellicle che, sebbene si siano avvicinati a noi umani ammirati e curiosi con tipico fare circospetto, scivolando dall’enorme panchina presente sul palco, ci hanno regalato uno scatto davvero unico che serberemo con divertito orgoglio.

Congedandoci dal gremitissimo Teatrotem, nel quale le vocine dei bambini hanno reso ancor più deliziosa la serata, non possiamo dunque, che ri-condividere il pensiero di Piparo, cui va tutta la nostra gratitudine, per aver avuto “l’occasione per ribadire ancora una volta a tutto il mondo la centralità culturale e artistica della Capitale italiana, della sua Storia e del fascino che può conferire a storie prettamente anglosassoni come questa dei gatti Jellicle narrati da T.S. Elliot” pur rimanendo fedele alla “partitura musicale e allo spirito voluto dai suoi creatori.”
Infinitamente grazie per questo fantasmagorico capolavoro.

Gemma Viti
Foto dalla pagina web della Compagnia

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