Essere o non essere un predatore: questo il dilemma di “Denti da squalo”, l’opera cinematografica di Davide Gentile

“Uno squalo è tale perché deve fare paura…. Se non fa più paura non è più uno squalo…”: questa battuta del film “Denti da squalo” di Davide Gentile (2022), rimasta impressa, rinvia a numerose considerazioni.

In primis, rinvia al papà del tredicenne Walter (un sensibile Tiziano Menichelli, rivelazione del film) che deve elaborarne la perdita e quindi effettuare il difficile “passaggio-crescita” del dover diventare adulto in assenza del genitore Antonio (un Claudio Santamaria con fugaci ma magnetiche apparizioni-guida) che, da Squalo-malavita di grosso taglio, aveva poi deciso di cambiare specie marina.

Conseguenze:

– Assenza fisica determinante per il mancante abbraccio affettivo del piccolo Walter devastato nell’animo, confuso da presenze ed identità indeterminate per la sua vita.

–  Presenza psico-onirica nei mono-dialoghi vertiginosi di Walter con il proprio buio: minuscolo lume in quelle oscurità dell’anima.

In realtà, un vero squalo pinne-e-fauci “spiegate” si nasconde minaccioso nella grande piscina di una villa della periferia romana, base rifugio del “pirata” (si ricordi questo nomignolo), antico amico di “assalti” bucanieri del padre. Squalo quale pet-therapy per Walter: riempimento affettivo di un vuoto incolmabile.

In tutto questo turbinio interiore del piccolo protagonista, mamma Rita (diligente la prova interpretativa di Virginia Raffaele) offre una sponda ben salda a quel malessere, curandone almeno in parte, le ferite.

Idea originale e molto efficace in partenza.
Fotografia ben riuscita (Ivan Casalgrandi) che fa da sponda ad alcuni momenti veramente poetici di cinema; musica di quella perfetta (Michele Braga) che accompagna con equilibrio intensi sommovimenti interiori. Momenti (ma solo quelli) delicati e lirici presenti in un film retto, per sua fortuna, da un ottimo montaggio/ritmo. Plauso dedicato a Tommaso Gallone.

Peccato che la sceneggiatura ed i momenti d’assieme interpretativi facciano perdere quella tenera poesia di cui è dolcemente “macchiato” il film.

Pellicola sinusoidale, quindi.

Davide Gentile, regista sensibile e lirico nella conduzione, dovrà scegliere in futuro se stuzzicare l’immaginario dello spettatore o il suo intelletto ovvero, si  spera, entrambi in egual misura: il primo è stato felicemente colpito; il secondo, continua ad interrogarsi sullo spessore del film.

Non un’emergenza cinematografica.

Peccato.

Vito Lopez

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