“Creature di Dio” di Saela Davis-Anna Rose Holmer, film tormentato che sferza le coscienze coi turbinii oceanici da nord-ovest

Film cupo questo irlandese per delle “Creature di Dio” al femminile (regia, montaggio di due valide registe newyorkesi in trasferta: Saela Davis ed Anna Rose Holmer) alle prese con gli aculei del difficile mestiere di vivere in un lontano villaggio di pescatori dove si allevano ostriche.

I mitilicoltori sono i “contadini” del mare: duro lavoro, pazienza, attesa per “accudire” l’ostrica sin dalla sua “semina”. Ci vogliono almeno dodici mesi per vedere i frutti di tanto duro lavoro “in ammollo” con sveglia all’alba per lavorare in barca ed in acqua con stivaloni “ascellari” a qualsiasi temperatura in ogni giorno dell’anno. Volti sofferti, sguardi duri, mani e cuori segnati. Queste tensioni contadine “di mare”, ricordano molto quelle visionate e vissute “nei campi” in “As Bestas“, Galizia spagnola.

Anche in questi orizzonti marini l’agonia di un cuore. Ancora più tenebrosa quell’agonia in questa pellicola irlandese (ancora una volta in quei luoghi. Chissà perché. Terra ancestrale l’Irlanda. Stimolo per la narrazione filmica: “L’isola degli Spiriti”, “The Quiet Girl”) perché vi è coinvolta una mamma che se pur istintivamente tende inizialmente a proteggere il proprio figliolo (Paul Mescal, stella sexy irlandese nascente – direi [anche da uomo] che vi è molto meglio in giro – da rivedere professionalmente in future interpretazioni e confronti con astri di altri, più luminosi e significativi firmamenti) da un’accusa infamante di stupro.

Di rientro a casa da un tentativo fallito di svolta-di-vita in Australia, Brian O’Hara decide di rimettersi faticosamente in carreggiata appena supportato dalla famiglia a cui chiede una mano d’aiuto. Non sarà facile il suo tentativo di reintegro perché lui, tra l’altro o meglio il suo agire, è continuamente avvolto dall’ombra, da dubbi, da retropensieri in cui la mamma stessa si lascia in un primo tempo emotivamente coinvolgere ma che poi diventeranno drammi interiori dinanzi all’infamante accusa di stupro nei confronti di una vecchia fiamma giovanile (Sarah Murphy-Franciosi lei sì splendida ed intimista interprete italo-irlandese) che lo denuncerà senza titubanza alcuna. Il dubbio, la sfiducia si impadroniranno della comunità tutta dei pescatori del villaggio nei confronti di Brian e della famiglia intera, nonché ovviamente della mamma Aileen O’Hara (una splendida – in tutti i sensi – Emily Watson, sofferta interpretazione la sua, alle prese con le lotte interiori di una madre che difende a spada tratta il suo figliolo. Sarà giusto farlo?).

Valida proposta di thriller familiare, il film inizia con un annegamento inquietante in acque buie e limacciose, (come tutto il film del resto: buio e limaccioso) rinvio ad un’usanza-paradosso della gente di mare irlandese per cui ai figli maschi non viene insegnato a nuotare perché non tentino eventualmente di tuffarsi per salvare un altro pescatore di ostriche colto di sorpresa dalla veloce alta marea dell’oceano in arrivo. Occorre salvaguardare la propria di vita. Strana legge/tradizione arcaica con cui questa madre dovrà fare i conti.

Il comune sentire della gente del villaggio lentamente avrà il sopravvento sulla vita di Aileen. Diverrà un peso insopportabile ed insopprimibile conducendola in un lento ed inesorabile vortice in cui la debole ma inquietante voce di una Donna (Sarah), vittima innocente della violenza del figlio, diverrà più forte e penetrante rispetto a quella sempre più indistinta del “suo” Brian che lei lascerà affogare silente in quelle acque ombrose del giudizio finale che lo sormonteranno.

La luce, il sole, giungerà a lambire ed illuminare finalmente il film (e si è giunti al finale) allorquando Sarah, recuperata la sua trafugata identità di donna, abbandonerà in auto da sola il villaggio per un viaggio-chissà-dove, quale ora dolce “Creatura di Dio”, in ricerca di un’esistenza salvifica.

La colonna sonora originale composta da Denny Bensy e Saunder Jurriaans di brani dai testi tradizionali e coinvolgenti, segnano i tempi precisi e ritmici del film con efficacia estrema, mettendo inoltre in mostra abilità interpretative canore della Franciosi che si rivela una preziosa scoperta.

Film che tormenta ma che trova parziale soluzione e risarcimento emotivo nel suo lieve tepore finale dopo aver avuto sferzata la coscienza da freddi e persistenti turbinii oceanici da nord-ovest per tutta la sua durata.

Proposta interessante.

Vito Lopez

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1 commento su ““Creature di Dio” di Saela Davis-Anna Rose Holmer, film tormentato che sferza le coscienze coi turbinii oceanici da nord-ovest

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