L’incontro di due anime che parlano al cuore degli ascoltatori: Fiorella Mannoia e Danilo Rea hanno incantato il pubblico di Altamura nell’anteprima di “Luce”, il lungo tour dell’estate 2023

C’è una crepa in ogni cosa ed è da lì che entra la luce.” (Leonard Cohen)

La luce si dona liberamente, riempiendo tutto lo spazio disponibile. Non cerca nulla in cambio; non chiede se si è amici o nemici. Si dà di per sé e non si risparmia mai.” (Michael Straßfeld)

Annullare le distanze, le diversità, le dissomiglianze, finanche le discordanze, senza mai costringersi, in un subdolo quanto ingannevole tentativo di bypassarle, ad ignorarle, ma infilandosi in quelle ipotetiche discrepanze per allargarne le fenditure sino a farne – come Cohen auspicava – entrare luce abbagliante e, infine, vincerne totalmente le resistenze sino a frantumarle, distruggendo false etichette e puerili classificazioni assegnate da quanti non riescono ad andare oltre una didascalica, se non didattica, arrogante conoscenza. Oggi, purtroppo per noi, sono davvero pochi gli Artisti ad essere ancora stimolati da questi princìpi, ultimi – e spesso unici – baluardi di una concezione dell’esistenza e della natura umana che cercava e trovava il proprio scopo di vita nella conoscenza, consapevolezza e comprensione dell’altro, nel riconoscerlo per riconoscersi, fino ad identificarsi nell’assunto demoraesiano che vede ‘la vita come l’arte dell’incontro’.

Fiorella Mannoia e Danilo Rea condividono da sempre questa illuminata ideologia e, per nostra fortuna, hanno spesso unito le loro forze, incessantemente animati da un grandissimo rispetto che, più di sovente, sfocia in partecipato affetto; mi ha sempre affascinato ed emozionato, ad esempio, rilevare che Fiorella avesse inserito nel suo primo album live, “Certe piccole voci” del 1999, un brano a sé stante per dare risalto al magnifico solo di pianoforte con cui Danilo introduceva “Oh che sarà”, la traduzione – più o meno fedele – resa da Ivano Fossati dell’inestimabile capolavoro di Chico Buarque. Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti, ma i nostri non hanno mai smesso di esaminarsi, scrutarsi, esplorarsi, investigarsi, accarezzarsi ed, infine, congiungersi artisticamente ogniqualvolta ve ne fosse l’occasione; memorabili, in tal senso, restano, tra le altre, le interpretazioni di “Povera Patria” di Battiato realizzata all’ombra dell’Albero di Falcone a Palermo e di “Sempre e per sempre” di De Gregori al Festival di Sanremo 2017, di cui resta anche testimonianza discografica. Quando, nel settembre del 2021, accorsi all’Anfiteatro Romano di Terni per assistere alla serata dell’Umbria Jazz Weekend dedicata alla loro magnifica performance in duo, mi augurai che fosse solo il primo capitolo di una nuova lunga storia di musica ed ora che siamo alle porte della realizzazione di questo sogno in un lungo tour che li porterà in giro per l’Italia, mi viene facile pronosticare che questo sarà l’evento di un’estate che, pur ‘tardando ad arrivare‘, non potrà non scoppiare a breve in tutta la sua radiosa luce.

Ed è proprio “Luce” l’appropriatissimo titolo dato alla densissima serie di concerti che si aprirà il 1° giugno alle Terme di Caracalla, con quattro date già annunciate in Puglia, e che ha goduto di una straordinaria anteprima tenutasi nella suggestiva sala del Teatro Mangiatordi di Altamura, gremita in ogni ordine di posto, per l’inaugurazione della annuale rassegna “Componimenti di Primavera”, organizzata dall’Orchestra Saverio Mercadante con la imprescindibile direzione artistica di Rocco Debernardis, i cui interessanti eventi proseguiranno sino a giugno.

È stato Rea il primo a salire su di un palco occupato da centinaia di candele accese, producendosi in un assolo da antologia del pianoforte, un excursus di tutta la musica che gli gira intorno che, pur analizzata sotto la lente della più intransigente improvvisazione, giunge immediatamente a toccare il cuore dei presenti, una lunga – ma mai abbastanza – cavalcata nelle sterminate lande delle sette note che ci restituisce un artista puro, integro, incontaminato, in assoluto stato di grazia, che è riuscito, ancora una volta, a raggiungere la perfezione, anzi a superarla, durante le discese ardite e susseguenti risalite sulla tastiera, con le sue ritmiche audaci e la sua irraggiungibile inventiva armonica e melodica; la musica scritta da altri diventa un “pre-testo”, un prologo, un’introduzione, una sollecitazione, un segnale che Danilo riceve dall’esterno, decodifica e amplifica trasmettendolo al suo pianoforte, il quale cessa di esistere in quanto tale, ma diventa una protesi in legno del suo stesso corpo, utilizzata come mezzo e non come fine, vale a dire come strumento – letteralmente – per arrivare al cuore degli ascoltatori, per rendere udibile ciò che udibile non è, per far giungere la musica non solo nei padiglioni auricolari ma molto, molto più nel profondo, per riuscire a far ‘sentire’ ogni singola nota nascosta nel pentagramma, aprendole, spalancandole, dilatandole sino al limite.

E la magia creatasi si manifesta in tutta il suo splendore quando, proprio sulle note del ricordato iniziatico solo di “Oh que serà” così da rendere superfluo qualsivoglia annuncio, sul palco sale la Signora Mannoia, l’Interprete per antonomasia, l’incontrastata icona della musica italiana di altissima qualità; con lei non occorrono arrangiamenti sconvolgenti o innovativi, effetti speciali o altre diavolerie: a rendere maestosa una canzone – che, toccata dalla sua ugola, diventa innegabilmente e definitivamente sua, al punto da far dubitare della paternità quando l’autore tenta di riappropriarsene – bastano la sua capacità di prendere per mano l’ascoltatore, conducendolo in mezzo alle vibrazioni che le parole e la musica vogliono trasmettere, e la sua innata personalità, che dona un’impronta assolutamente unica ad ogni interpretazione, senza accontentarsi mai di rifare il verso all’originale, anche quando affronta cover di brani già celeberrimi. Fiorella fa in modo che il cuore del suo popolo palpiti insieme al suo, sempre, indissolubilmente, splendidamente empatica, qualità che pochi artisti di questi tempi possano vantare, e il pubblico sente di doverle concedere tutto, di potersi fidare e di poterle affidare le sue emozioni, certo che saprà custodirle e farne tesoro; così, – e valga per tutte – quando intona – come sempre – al termine del magnifico concerto “Quello che le donne non dicono”, non vi è donna che non sia sul palco con lei a cantarla, come non vi è uomo che non comprenda un po’ di più (o almeno ci provi) l‘universo femminile.

Nel mezzo, tra il primo e l’ultimo brano in scaletta, c’è tutto il resto, c’è una meravigliosa costruzione architettonica realizzata con classe sterminata, cogliendo a piene mani perle nello scrigno della musica italiana, e non solo, tra cui “Come si cambia” e “Che sia benedetta”, le sole tratte dal repertorio della Mannoia, “C’è tempo” di Fossati, “Sally” di Vasco (che sentenziò “l’avevo scritta per lei e non lo sapevo”), la popolarissima “Quizás, quizás, quizás” di Osvaldo Farrés, “La cura” di Battiato, “Felicità” di Dalla (che nel disco tributo di Fiorella a Lucio “A te” gode proprio del sublime piano di Danilo), “Messico e nuvole” e “Via con me” di Conte, “E penso a te” e “Insieme” di Battisti, con cui si è implicitamente omaggiata anche la divina Mina di cui Rea è da anni insostituibile musicista, “Terra mia” di Pino Daniele, con cui la Mannoia affrontò un mitico tour assieme a Ron e De Gregori, di cui eseguono la citata “Sempre e per sempre”, e “I dubbi dell’amore”, anche questa, come “Quello che …”, del miglior Ruggeri.

Se, come affermava Alda Merini, “la bellezza non è che il disvelamento di una tenebra caduta e della luce che ne è venuta fuori”, non vi è dubbio che, grazie alla sapiente Arte dei nostri, l’apparente distanza tra mondi musicali si sgretoli irrimediabilmente davanti ai nostri occhi, in modo che i brani stessi sembrino strutturarsi in un unico linguaggio, fatto talvolta di pulsioni impetuose ed esaltanti e talaltra – più spesso – di atmosfere rarefatte e nostalgiche, in cui passato e presente perdono connotazione, vinti dal gusto estetico e dalla passione travolgente che accomuna i due. Il palco, per una volta, non si trasforma in un ring ove gli artisti si sfidano a singolar tenzone, ma è un immaginifico luogo d’incontro tra due anime che lasciano respirare la musica facendosene attraversare, un onirico ed ideale limbo musicale in cui Fiorella e Danilo si danno convegno per confrontare le loro sublimi concezioni musicali, non solo in quanto padroni di una irraggiungibile tecnica virtuosistica e di una cifra stilistica altissima, ma, soprattutto, forti di un evidente affiatamento e di una rara sensibilità. L’infinito e caleidoscopico incastrarsi del dialogo dei due artisti, sviluppo logico di due menti creative, si trasforma, così, in una stupenda dissertazione sull’eterna bellezza della musica in senso totale, in cui a lirismo, facilità discorsiva e stimoli di Rea risponde la Mannoia con la sua erudita impronta personalissima e riconoscibilissima, passando per osmosi tra i vari generi musicali, in un infinito incastrarsi da cui sgorga un’eleganza che infonde nel pubblico un senso di appagamento addirittura fisico, consentendo ad ogni ascoltatore, anche al meno preparato, di avvicinarsi ad universi sconosciuti quanto suggestivi, di “restare immersi”, come diceva Paul Claudel, “in questa specie di luce liquida che fa di noi degli esseri diversi e sospesi”.

Pasquale Attolico
Foto dalla pagina Facebook di Fiorella Mannoia

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