“Moretti chi?”: No! Non si può sentire! “Il sol dell’avvenire”, invece, ci ammalia rispecchiandoci

Italia, fine secolo scorso. Fumi ombrosi dalla Storia. Un’altra vita. Socialismo con simbolo nelle sue bandiere di un sole nascente: “il sole dell’avvenire”. Finanche un inno: “Sulla libera bandiera splende il sole dell’avvenir…” E pensare che in quei ormai perduti frangenti recuperati da “tiretti vintage” della memoria, c’ero. Piccolino ma c’ero.

Ieri pomeriggio l’”Epifania” a cinema: riempita solo mezza sala (la più grande a disposizione per il rito) di 60enni in attesa di una nuova Rivelazione ma tutti contraddistinti dallo spirito “giovane”. Ecco, per l’appunto, solo quello era presente di giovane nell’”aere” in sala ieri: lo Spirito!
Gli adolescenti tutti a vedere in massa “Super Mario Bros”. I più “grandi”, i più sofisticati, ad inebriarsi la “mente” con i fumi di “Percoco”. I più “tonici”: “Moretti? Moretti chi?”. No, non può essere. Da strapparsi le vesti. E la “nostra memoria storica?” In vacanza a scelta per il lungo ponte del 25 aprile o quello del I° maggio. Non è un caso che il Nanni Moretti di questo “Il sol dell’avvenire“, come pure Veltroni (“Quando”), Salvatores (“Il Ritorno di Casanova”), Papaleo (“Scordato”), abbiano bisogno di fare “pace” con il loro (e il nostro?) passato per mettere ordine almeno alla loro di vita affettiva nel presente perché quella “politica” passata (nel senso puro e lato del termine) è oramai “liquida” (per dirla aulicamente con Bauman) o liquefatta (più “terra-terra”), impalpabile.

Fatto questo “pippone” iniziale (ma non si raggiungeranno mai le profondità del Maestro nell’esercizio di tale propensione) si potrebbe pensare che il film sia stato già trucidato sul nascere prima della sua visione. E invece no!
La nevrotica ed autarchica magia della cinematografia morettiana colpisce stavolta il cuore (incredibile!) e non solo la mente. Non si sintetizzeranno i temi che si rincorrono in tre film in uno: no! Perché spoilerare?
Si sottolineerà invece come dopo i primi venti-minuti-buoni del “solito” logo-palloso morettiano, con un memorabile storico mini riepilogo di tutte le ossessioni a cui ha pesantemente abituato in cinquant’anni di cinema, lentamente il film si “digi-evolve” presentando finalmente un cuore, messo a nudo e sanguinante, di colui che lo mette finalmente in gioco (era ora Moretti: “alla vecchiaia”) e lo porge timorosamente a giudizio dello spettatore mostrando la deriva affettiva con la propria moglie (deliziosa Margherita Buy) che non è riuscito mai ad amare (ricambiato in questa aridità) ed “avvicinare” a quel cuore per la sua cronica anaffettività. Riesce perfino a commuovere (impensabile, non si era pronti a questo) quando durante il “terzo film” lui stesso irrompe sulla scena e “mette in bocca” le battute da copione a due ragazzi teneramente innamorati (dolcissimi Blu Yoshini e Michele Eburnea) come se, rimpiangendolo quell’amore, non avesse mai potuto viverlo così soave come quando vero lo è.

La “storia d’amore sovietica” che è poi la trama guida del film datata 1956 (invasione di Budapest con i carri armati) tra Silvio Orlando (un fedel-attor-morettiamo da sempre, come la Buy del resto) e Barbora Bobulova è invece un pretesto per dare volto all’immancabile esercizio Nanni-cinematografico per un giudizio storico-critico-ironico ben affilato (chissà, se avesse vinto Trotsky!). La magia poi però ipnotizza (che bello!) allorquando lui, il Maestro, interrompe il ciak finale delle riprese di un film di un giovane regista (e qui siamo nel meta-cinema) in cui dovrà solo essere filmata un’esecuzione finale molto cruenta. “L’interruzione” durerà una notte intera, quale necessità esteto-pedagogica per Moretti di dilatare il tempo e giustificare sempre ed ad ogni costo il suo di pensiero a noi povere vittime irretite e sotto ipnosi psicologica. Perché forse, è la morale, non è mai il caso di “farla finita” a prescindere (concetto ribadito anche dinanzi ad una forca).

Ma, e questo lo si sa, a lui non interessa sapere se piacciano o meno i suoi “interventi didascalico-creativi” in quanto “il cinema lo faccio per me, non mi lascio mai condizionare, lo faccio come voglio io”, il suo Vangelo. In questo modo lo spettatore viene sedotto fino al termine della proiezione, momento in cui si lascerà lì sì tramortire, in una affettuosa e dolce eutanasia dell’immaginifico, dal Nanni in veste di “direttore di circo”, che lo saluta dalla grottesca parata felliniana (il film è anche un tributo all’altro Maestro, a cominciare dal Circo) in cui ci si sente coinvolti e rassicurati.

Per cui, non l’ha ordinato lo psicanalista di vedere il film in una seduta ma, trattandosi di un compendio cinquantennale storico-psico-affettivo di un regista più che maturo che ci promette che filmerà ancora, le trascorrerei due ore in sala per lasciarmi ammaliare e specchiarmi.
Perché tra l’altro, dove lo troveremo più Uno come lui, a suo modo vero e ficcante?
In fondo, ce lo meritiamo Nanni Moretti.

Vito Lopez

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