Maurizio Pellegrini torna a far brillare l’epoca d’oro del Varietà e dell’Avanspettacolo con “Se me vulisse bene”

“Avanspettacolo” e “Varietà” due termini che riportano indietro nel tempo, a periodi che ci sembrano talmente lontani e irraggiungibili che pensiamo non abbiano più nulla da dirci.

E, invece, lo spettacolo, inserito nel cartellone della Stagione dell’Agìmus di Mola di Bari, come sempre ottimamente diretta da Pietro Rotolo, cui ho assistito nel magnifico Teatro “Van Westerhout” di Mola di Bari (gremito in ogni ordine di posto), è stato un mirabile esercizio di stile che il suo autore e principale esecutore, Maurizio Pellegrini, ha portato in scena mantenendo una promessa fatta al suo pubblico, quella di riproporre un genere che sulla carta poteva sembrare sorpassato ma che, nella realtà si è rivelato attuale e decisamente divertente.

Ispirandosi a mostri sacri quali Ettore Petrolini, Peppino De Filippo e Nino Taranto, Pellegrini ha proposto un viaggio nelle tragicomiche vicende amorose del suo personaggio che tra un’improbabile “Giulietta” cubana di nome Juana, una Mariarosa, una Agata e via discorrendo, non riesce a quadrare il cerchio e a mettersi il cuore in pace.

Il nostro cuore di spettatori invece è riuscito a rapirlo, iniziando con un classico senza tempo, l’ironico “Gastone” (che porta bene il ‘fracche’), proseguendo con la ‘Serenatas in spagnolos puros’ e no (non ho perso io l’abilità di scrivere in italiano, è lui che ha cantatos aggiungendos la “s” a tuttes les paroles: dopotutto lo spagnolo è tutto qui o nos?).

Abbandonato il caliente amore latino, il nostro si è ritrovato fidanzato con una fanciulla che sembrava perfetta, salvo poi il malcapitato rassegnarsi ad incontri che vedevano la presenza costante di una “chaperon”, la mamma, la sorellina, la zia del suo amore e che non si schiodavano neanche a pagarle; e così, pur di non ritrovarsi “Io mammeta e tu” come il povero Domenico Modugno anche in viaggio di nozze, ha preferito desistere. In questo numero, come in altri, sostanziale è stato l’apporto delle due brave  ballerine/attrici Laura Bovino e Debora Tateo.

E così arriviamo ad un pezzo iconico, il divertentissimo “Ciccio Formaggio” di Roberto Murolo portato al successo da Nino Taranto, cui il nostro autore ha rubato quel “Se me vulisse bene” che è diventato il titolo dello spettacolo. Il nostro se la passa poco bene anche dal punto di vista finanziario e decide quindi di chiedere un obolo al fratello il quale, purtroppo per lui, gli risponde picche. Ma le disavventure non finiscono mai per il povero “cercatore d’amore”; infatti, si ritrova accompagnato da una donna bella, ma bella assaje, ma, ahimè, sorda e che lo fa uscire pazzo, il tutto raccontato in musica attraverso “Ma ve pare, ve pare, ve pa’” di Pisano-Cioffi e poi dalla fedifraga Agata, immortalata dall’omonima canzone sempre di Cioffi. Una sera poi, come successe ad Achille Togliani, gli capita di incontrare una vecchia fiamma e di ripensare ad un sogno lontano, quando d’inverno al cor si stringeva come pioveva.

Nonostante tutte queste esperienze negative il pover’uomo non sembra aver imparato molto, si fa quindi infinocchiare da una “allegra” signora conosciuta su un tram per Posillipo. “E allora?” vi chiederete voi; e ce lo siamo chiesti tutti in teatro man mano che il racconto procedeva e insomma, alla fine si ritrova le tasche alleggerite dal costo di una corsa in taxi e di una cena ma fa in tempo a rinsavire e abbandonare la “signora” perché, come chiosa alla fine “E allora ebbi la prova di una grande verità. Ch’ à via vecchia, p’ à nova, nun s’ha dda maje cagnà”.

E allora cos’è l’amore? Non è la perfezione, semmai il contrario, l’amore è un’arte, di bastare, convenire, discutere e gioire; il resto si sa, è solo arrangiamento. Il finale dello spettacolo è in crescendo, “Dove sta Zazà” di Cioffi-Cutolo (come dimenticarne la versione unica di Gabriella Ferri?) ed il bis, “Canzone pettegola (Cosimo Pellecchia) con il protagonista che ci prova con la vicina di casa sposata con un settantenne chiedendole “chi glielo dà”: ma non pensate male, si riferisce al coraggio di sopportare un marito di quell’età e si propone, magnanimamente di darglielo lui stesso … il coraggio!!!

Come detto, il mattatore Maurizio Pellegrini ha dato prova di grande coraggio proponendo un genere che sembra antiquato ma la messa in scena ha dimostrato ampiamente che aveva ragione lui, lo spettacolo è stato molto divertente e in particolare voglio sottolineare il fondamentale apporto della “Chamber Swing Orchestra” (Valerio Fusillo strepitoso al mandolino, Nicola Nesta alla chitarra, Verio Colella al contrabbasso e Davide Chiarelli alle percussioni). 

Riproporlo? Decisamente sì, perché, e qui rubo le parole dalla presentazione che gli autori danno dello spettacolo, “Varietà e Avanspettacolo, come un fiume carsico, sono spariti solo per continuare a riaffiorare dove e quando meno te lo aspetti. E ogni volta tale è la sorpresa e il piacere di ritrovarli, più vivi e vegeti che mai, che ci sembra di aver rincontrato un compagno di scuola mai dimenticato”.

Gabriella Loconsole
Foto dalla pagina Facebook dell’Agìmus di Mola di Bari

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