L’amore rende liberi? Il conflitto fatale di Pentesilea in “Con le mani … così lievi che sentivo dolore” in anteprima nazionale per “Il Peso della Farfalla” alla Chiesa di San Gaetano di Bari fino al 13 novembre

A truth should exist
it should not be used like this.
If I love you
is that a fact or a weapon?

(“Una verità dovrebbe esistere,
non andrebbe usata così.
Se ti amo
questo è un fatto o un’arma?
”)
(“Esercizi di potere” – Margaret Atwood)

Che crocevia eccezionale, il Mediterraneo. Prima che esistessero miti perdenti come quello della nazione, il Mediterraneo parlava una specie di Esperanto, in un grembo in cui Mamma Africa e il freddo Nord erano solo le periferie di una lingua dall’orizzonte più largo dello sguardo: Iberia e Cicladi, Anatolia e Sicilia, Tripolitania e Fenicia, Grecia e Gibilterra.

La commistione tra i popoli, il meticciato della nostra etnia randagia, ha spesso preso le forme della guerra e di un modo molto più potente delle armi per assicurarsi una progenie a propria immagine e somiglianza: proprio così, fare l’amore.

È un’esperienza multisensoriale, quella che attira gli spettatori nel secondo inedito spettacolo del Festival “Il Peso della Farfalla2022 a cura di Clarissa Veronico e dell’associazione Punti Cospicui (in scena sino a domenica 13 novembre). L’intenso odore di rosa sfocia in quello di incenso, in uno degli scorci più belli di Barivecchia, quello della meravigliosa Chiesa di San Gaetano, a due respiri dalla Cattedrale e dirimpetto a casa Fazio, luogo di resistenza barese. Qui riposano i Misteri della Vallisa, portati in processione lungo tutta la città il Venerdì Santo degli anni pari.

La pièce “Con le mani … così lievi che sentivo dolore”, in anteprima nazionale, ispirata a Pentesilea di Heinrich Von Kleist, di e con una sublime Valentina Bischi, prevede il testo e la drammaturgia di Clarissa Veronico, la cura e le ombre di Santuzza Oberholzer, le costruzioni di Nicola Socciarello/Il Signor T, i disegni originali di Rossella Mercedes, in una produzione Punti Cospicui e Bischi con il sostegno di Vallisa Cultura e dello Spazio AA_Antonello Alessandra.

Il boccascena naturalmente predisposto per la celebrazione dell’Eucarestia sovverte l’ostensione rituale: una sacerdotessa, ferina e sensuale, narra una leggenda a fior di labbra come fosse un oracolo alla rovescia, che non serve a non ripetere gli stessi errori, casomai a perdersi in nuove contraddizioni. È il mito di Pentesilea, fiera Regina delle Amazzoni, destinata ad accoppiarsi solo ai vincenti, per perpetuare la sua vis indomita, imponendo la stessa modalità alle gregarie del suo matriarcato, abbuffarsi di corpi maschili alla Festa delle Rose, fiore complesso, irresistibile e doloroso, proprio come l’amore. La scena madre evocata è proprio quella della Festa delle Rose fatale per Pentesilea, quella che assume la forma di una specie di rave party (che beffarda profezia drammaturgica), in cui le guerriere sboccate, celebrando la vittoria, tributano la propria vitalità e femminilità (come non pensare a un contrasto con la mortificazione della donna angelicata dalla cristianità?), conquistando guerrieri achei, e tra loro Achille, immaginato come un nerboruto tatuato (e pure un poco mammone), contro cui la chimica è più debole di un tallone non protetto. È qui che accade l’imponderabile: un amore che dovrebbe rendere più forti, conduce alla disperazione, narrata nella meravigliosa scatola di scena, a metà tra una TV che trasmette Carosello e la valigetta metafisica di Pulp Fiction. Sarà l’irrisolutezza di Pentesilea a determinare la fine della donna e la nascita di un’eroina.

Pentesilea, regina delle Amazzoni. Pentesilea, regina di Libertà.

Beatrice Zippo
Photo credit Elena Lagova

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