Piccola e potente come l’infanzia: “Amal, la bambina venuta dal mare”, la speranza in scena al Teatro Kismet di Bari con Teresa Ludovico e Nabil Bey Salameh

Dio, o chi per lui,
sta cercando di dividerci,
di farci del male,

di farci annegare.
Com’è profondo il mare.
Com’è profondo il mare
.”
(“Com’è profondo il mare” – Lucio Dalla)

Poco più di un anno fa, la grande bambola Amal (“speranza” in arabo), nel suo cammino tra Gaziantep, Turchia che è quasi Siria, e Manchester, è passata per Bari, lasciando il suo messaggio di concordia tra i popoli. Un messaggio che è fiorito e che ha generato uno spettacolo teatrale.

Amal, la bambina venuta dal mare” fa parte della rassegna “C’è aria di festa”, leg del cartellone culturale barese 2022 “Le due Bari” curato dall’Assessorato alle Culture del Comune di Bari (di concerto con il Ministero della Cultura e la Coop. Teatri di Bari) collocata al Teatro Kismet, a cura di Teresa Ludovico.

La stessa Ludovico è regista e voce narrante dello spettacolo, assieme ai versi di Mariangela Gualtieri, alle musiche e al canto di Nabil Bey Salameh, allo spazio scenico e alle luci di Vincent Longuemare, al reparto tecnico di Giuseppe Pesce e Luca Ippolito, all’assistente alla regia Domenico Indiveri e alla cura della produzione di Sabrina Cocco.

Lo schema è caro alla Ludovico: la declamazione dei versi dedicati alla piccola, grande Amal, venuta per un bacio tra i popoli, per riunire tutte le genti intorno al nostro mare, per renderci il mare un amico di cui fidarci e non il tappeto sotto cui nascondere la vergogna del nostro tempo. I versi sono intervallati dalle musiche senza tempo e dal canto in arabo, sempre meraviglioso, di Salameh.

È proprio una bambina, con la sua gioia di vivere (“è la gioia, la più alta delle preghiere” recita la Ludovico), con la luminosa voglia di futuro da un lato, e col ricordo delle sofferenze passate per lasciare una terra, un cielo e un cibo familiare, alle spalle, a invitarci a non avere paura dell’altro e del futuro, perché anche noi nel futuro possiamo essere altro.

Lo spazio scenico è quello della prua di una nave, dei suoi volti, delle sue onde, dei suoi colori, dei suoi popoli di ogni epoca e etnia.

Affinché ci venga data fiducia, va data fiducia; per salvarci, dobbiamo salvare; per ricevere amore, dobbiamo dare amore. È un sinallagma che troppo spesso dimentichiamo, pensando che l’odio sia un fattore educativo per non si sa chi e cosa.

Per spegnere questi echi di odio, due sole parole chiudono come un mantra la declamazione: Fate piano. Fate piano. Fate piano.

Beatrice Zippo

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