L’Antibuddha è qui: al Teatro Kismet di Bari Piergiuseppe Di Tanno spinge l’acceleratore sulla sperimentazione con “Varanasi. Sinfonia ipnagogica per Pier Paolo Pasolini”

Profondamente s’inchinò Govinda, sul suo vecchio viso corsero lacrime, delle quali egli nulla sapeva, come un fuoco arse nel suo cuore il sentimento del più intimo amore, della più umile venerazione. Profondamente egli si inchinò, fino a terra, davanti all’uomo che sedeva immobile e il cui sorriso gli ricordava tutto ciò ch’egli avesse mai amato in vita sua, tutto ciò che nella sua vita vi fosse mai stato di prezioso e di sacro.” (“Siddharta”, Hermann Hesse)

È andata così, l’esistenza di Pier Paolo Pasolini, tutti gli stadi del samsara andata e ritorno, per concludersi con il più involutivo dei Nirvana, il raggiungimento della gloria nel buio della notte e della coscienza.

La parabola è narrata dal lato oscuro, che tutto può perché nulla vede, da Piergiuseppe Di Tanno. Performer dall’impatto notevole, Di Tanno presenta “Varanasi. Sinfonia ipnagogica per Pier Paolo Pasolini”, spettacolo curato da Tita Tummillo De Palo, nell’ambito della rassegna “C’è aria di festa”, leg a cura di Teresa Ludovico ospitata al Teatro Kismet per il cartellone di eventi “Le Due Bari”, frutto di un Accordo di programma tra Comune di Bari e MiC.

Gli stilemi con cui Di Tanno ha già colpito il pubblico barese al BiG (con lo spettacolo “Tanatosi”) ci sono tutti: la testa glabra, dipinta con un colore solido, la nudità espressiva. Di Tanno accoglie gli spettatori nel tunnel del teatro, in un’atmosfera per l’appunto ipnagogica, velato di nero, tra le mani un bouquet di rose altrettanto nere, forse da loro si spande il fumo dal profumo dolciastro che pervade l’aria. Le parole di Pasolini vengono recitate come una promessa di amore disperato.

Le spettatrici e gli spettatori vengono poi portati nell’ambiente accanto, dove Di Tanno, sempre declamando parole di Pasolini, diventa una specie di Cristo senza Pietà, i veli come un sudario, sacro, dissacrato e dissacrante, un sepolcro da cui nessuna resurrezione è possibile né auspicabile. La plastica nudità si intreccia con i veli e con le parole, pregate, urlate, lanciate nelle orecchie di chi ascolta. Il colore sanguina sul corpo, mentre una foto lapidaria di Pasolini, attaccata al muro, sembra quasi schernire chi vuole cercare significati che sfuggiranno sempre del tutto agli occhi di chi li pretende.

Una fuga in cui termina l’ultimo segmento del sogno lucido di Di Tanno, un travestimento da mietitore poco triste, ma molto consapevole che le religioni, la vita e le parole possono uccidere più della morte.

“- E che tipo d’anima?
PPP – Ma, il tipo d’anima che nasce da una concezione non moralistica del mondo.”
(Intervista a Pier Paolo Pasolini rilasciata a Luigi Sommaruga per “Il Messaggero”, 9 giugno 1973, ora su “PPP, saggi sulla politica e la società”, I Meridiani Mondadori)

Beatrice Zippo

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