Alle prese con Beethoven e Schubert, il violino di Viktoria Mullova ed il fortepiano di Alasdair Beatson ipnotizzano il pubblico della Fondazione del Teatro Petruzzelli

Egli può fare tutto, ma noi non possiamo ancora comprendere ogni cosa, e molta acqua dovrà scorrere sotto il ponte del Danubio prima che sia compreso appieno ciò che quest’uomo ha scritto.(Franz Schubert su Ludwig van Beethoven)

In codesto ragazzo c’è la fiamma divina.” (Ludwig van Beethoven su Franz Schubert)

Superba: ecco come è possibile definire in una sola parola la performance che Viktoria Mullova ed Alasdair Beatson hanno tenuto a Bari nell’ambito della Stagione concertistica 2022 della Fondazione del Teatro Petruzzelli; la violinista russa, ma di origini ucraine, ed il pianista scozzese, letteralmente trasportando il folto pubblico in un viaggio alla scoperta dell’essenza stessa della musica di Beethoven e di Schubert, hanno tenuto fede alle attese, che pure erano altissime.

Eppure, le personalità dei due non sembrano collimare del tutto: intrepida e versatile lei, musicalmente curiosa al punto da spaziare dal barocco e classico fino alle influenze più contemporanee del mondo della musica fusion e sperimentale, più integralista e inflessibile lui, i due, sospinti dalla medesima innata ed appassionata energia, si incastrano invece perfettamente, creando momenti di meraviglioso contrasto dinamico per lo più sconosciuti ai nostri tempi, incontri e scontri che generalmente scorrono veloci ma mai frettolosi, sciogliendosi sempre in un – ormai rarissimo – compiuto equilibrio tra gli strumenti; una magia che attanaglia ed ipnotizza dall’inizio alla fine gli ascoltatori, non consentendo loro – come purtroppo troppo spesso accade durante le esibizioni di musica da camera – di far vagare la mente verso altre mete.

Il programma, come detto, proponeva tre Sonate di Ludwig van Beethoven (la n.4 in la minore op.23, la n.8 in sol maggiore op.30 n.3, e la n.7 in do minore op.30 n.2) e il Rondò in si minore op.70 D.895 di Franz Schubert, inamovibili punti di riferimento del repertorio classico, che tanto la Mullova al violino quanto Beatson al fortepiano eseguivano in modo eccelso, sottolineandone ogni discussione dinamica, ogni impetuosità furente, ogni tenera confessione, ogni sussurro misterioso, ogni esclamazione estatica, assolutamente in linea sia con i dettami beethoveniani, che impongono uno svolgimento epico, lontano dai sentimentalismi del periodo francese, sia con quelli schubertiani, che mutano le aperture liriche e malinconiche in una gioia ed esuberanza tutta viennese.

Come fossero espressione di un’unica grande opera di incantevole bellezza, tutte le composizioni venivano rese dai due musicisti in modo indicibilmente ispirato, così da produrre, pur con uno stile chiaro ed asciutto, una imprevedibile e vivida panoplia di colori ed una caleidoscopica abbondanza di temi, con i due strumenti che, incitati da un pathos palpabile che li proiettava in una tenzone quasi agonisticamente atletica, sembravano voler travalicare i propri limiti sino a raggiungere il puro virtuosismo. Se Beethoven è presente con tutta la sua drammatica consistenza, l’equilibrio, l’articolazione e l’espressione, come rilevato anche dal bis che riprendeva il secondo movimento della Primavera, allora la fragilità, l’intima malinconia e la toccante passione di Schubert sono tutte qui; il violino della Mullova, con la sua forza e la sua potenza, sembra accendere non solo il fortepiano di Beatson, ma anche la sala tutta, grazie ad un’inventiva costante ed analitica, ad un suono abilmente congegnato, ricco ma non stucchevole, che non si perde mai nella mera bellezza fine a se stessa. Un’esibizione superba, come detto, e penetrante, rivelatrice della maestria di due artisti che potrebbe – è bene saperlo – facilmente creare dipendenza.

Pasquale Attolico
Foto di Clarissa Lapolla photography

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