La perfetta intesa tra Jordi Bernàcer e l’Orchestra ed il Coro del Teatro Petruzzelli esalta anche le doti dei solisti Gianfaldoni, Campanella e Queyras

Nell’arte esistono solo sviluppi, veloci o lenti che siano. In sostanza è tutta una questione di evoluzione, non di rivoluzione.” (Béla Bartók)

Due appuntamenti a distanza ravvicinatissima tra un’Orchestra ed un Direttore possono dire molto, non solo agli artisti impegnati, ma anche agli ascoltatori. I due eventi che la Fondazione del Teatro Petruzzelli ha inserito in cartellone, alla ripresa, dopo la pausa estiva, della sua Stagione Concertistica 2022, con la presenza sul podio di Jordi Bernàcer non saranno passati inosservati al preparato pubblico barese, avendo ancora una volta evidenziato gli ottimi risultati che la bacchetta del Maestro riesce a produrre quando si somma all’ensemble del nostro Politeama.
Procediamo per gradi.

La prima serata era incentrata su Cèsar Franck e già questa scelta era fonte di particolare attenzione, soprattutto da parte degli addetti ai lavori; sottovalutate nella sua epoca e non meno inesplorate, se non ignorate, nella nostra, le creazioni musicali di Franck non sempre sono di facile ascolto, presentandosi più affini al decadentismo germanico o russo che alla tradizione francese, affette – si è spesso detto – da un cromatismo esasperato che si frantuma in una comunicativa solo accennata, che sembrano aspirare ad un impeto esuberante per poi spesso smorzarsi sino a rimanere statiche, non riuscendo a sviluppare, se non raramente, armonie melodicamente compiute. Le esecuzioni baresi de Les Djinns (poema sinfonico per pianoforte e orchestra FWV45) e delle Variazioni sinfoniche per pianoforte e orchestra, pur godendo della presenza del magistrale pianoforte del Maestro Michele Campanella, hanno denotato in modo più che lapalissiano questi aspetti della pagina musicale franckiana; nel Poema d’apertura, la tempesta di forze misteriose e soprannaturali richiamate dall’omonima opera contenuta ne Les Orientales di Victor Hugo, cui il compositore si era ispirato, sembrava effettivamente aleggiare sul nostro teatro, anche se non sempre era possibile registrare una perfetta intesa tra l’Orchestra ed il solista, impegnato – è il caso di ricordarlo – in una pagina tra le più virtuosistiche per questo strumento. Discorso diverso meritano le Variazioni Sinfoniche, la cui struttura notoriamente complessa ed unitaria non impediva agli artisti impegnati di risolvere il proprio ‘conflitto’ producendosi in un’interpretazione eccellente, accostandosi alla radice stessa del pensiero franckiano, perfettamente in bilico tra un mistico abbandono alla meditazione musicale ed un’unità tematica votata alla più rigida formalità. La serata in crescendo trovava il suo più giusto compimento nella Sinfonia in re minore FWV48, che l’Orchestra del Teatro Petruzzelli riusciva a rendere in modo perfettamente organico ed unitario, sviluppando la richiesta perfetta miscellanea tra lirismo e rigorosità in un’elaborazione ciclica di cellule tematiche che, rincorrendosi ed integrandosi, donavano alla composizione una forma compiuta.

La seconda serata si apriva con due composizioni di Béla Bartók, Romàn népi tàncok (Danze popolari rumene) per piccola orchestra BB 76, e Concerto per viola e orchestra BB 128. Se le brevissime Danze, pur nella loro caratteristica quanto piacevole spigliatezza musicale, scorrevano via senza lasciare imperitura traccia negli ascoltatori, era il Concerto, in quest’occasione affidato al virtuoso violoncello di Jean-Guihean Queyras, a scaldare gli animi; opera postuma tra le più controverse, il Concerto, nell’esecuzione barese, sprigionava tutta la sua forza spirituale ed estetica grazie alla perfetta intesa tra la splendida orchestra, il direttore ed il solista, sublimandosi in quella originaria contemplazione quieta e riflessiva, qui pur resa con asciutta essenzialità, che lo rende così vicino alle opere beethoveniane.

E l’eccezionalità dell’evento non subiva alcuna incrinatura anche quando Queyras abbandonava il palco, non prima di aver concesso due bis, tra cui la celeberrima Suite di Bach, per lasciare spazio alla splendida voce di Giuliana Gianfaldoni per l’esecuzione de La Nuit, Cantata in Mi bemolle maggiore, per soprano, coro femminile e orchestra op.114, di Camille Saint-Saëns e di Gloria, per soprano, coro misto e orchestra FP177, di Francis Poulenc. Grazie all’apporto del magnifico Coro del Petruzzelli, come sempre preparato dal Maestro Fabrizio Cassi, le due pagine musicali si rivelavano preziosi doni per il pubblico barese.

Senza nulla togliere a Saint-Saëns, era nella composizione di Poulenc che si poteva ritrovare la migliore performance delle due serate; la particolarissima quanto geniale pagina musicale, in cui magnifiche melodie si incastrano senza soluzione di continuità a pericolose spigolosità, ha esaltato ulteriormente la direzione del Maestro Bernàcer, spintosi al massimo sino a divenire una cosa sola con l’Orchestra ed il Coro del Teatro, e la splendida prestazione della Gianfaldoni, soprano in meritatissima ascesa, dal timbro avvolgente, la morbidezza d’emissione, i registri omogenei, gli acuti timbrati, i gravi avvolgenti ed il fraseggio curato nel minimo dettaglio, che la distribuzione degli accenti e la policromia del suono rendono ancor più efficace. Quando, al termine dei sei movimenti, si è giunti a quell’Amen finale che Poulenc, dopo le precedenti esplorazioni sonore riservate al coro ed all’orchestra, improvvisamente affida alla sublime solista, regalandole una melodia sinuosa quanto eccelsa che condurrà l’opera ad una inedita conclusione sussurrata, non vi è stato più alcun dubbio sul raggiungimento della totale perfezione e della massima intesa di tutti gli elementi in campo, come testimoniato dalle ovazioni del pubblico che, giustamente, non si sono fatte attendere.

Pasquale Attolico
foto: Clarissa Lapolla photography

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