Quelli che, dall’alto del loro genio, possono confrontarsi con il Genio: “Ci vuole orecchio”, lo spettacolo in cui Elio canta e recita Enzo Jannacci, vince e convince

Ogni genio è un gran fanciullo, già per il suo guardare al mondo come a un che di estraneo. Chi nella vita non resta per qualche verso un fanciullo e diventa invece un uomo serio, sobrio, posato e ragionevole, sarà certo un bravo e utile cittadino di questo mondo, ma un genio non sarà mai.” (Arthur Schopenhauer)

Quando un musicista ride, depone il suo strumento e ride e non si guarda in giro e non teme, non ha paura della sua semplicità.” (Enzo Jannacci)

Racconta Paolo Jannacci: “Molti chiedevano a mio padre cosa c’entrasse la carriera di medico con quella di cantante, e lui sorridente rispondeva “l’uomo bisogna conoscerlo da dentro”. Di giorno era in ospedale, di notte andava a cantare. Non scendeva mai a compromessi. Il fatto di vedere da vicino la sofferenza poteva essere il motivo del suo abbraccio verso i poveri diavoli e della sua inquietudine verso la condizione umana”. E nessuno può dire che il Maestro Enzo Jannacci non sia riuscito nel suo intento, perché come lui pochi altri (tra cui non è possibile non annoverare il suo eterno amico Giorgio Gaber) hanno saputo scandagliare le profondità dell’animo umano, senza però mai rinunciare a vestire le proprie parole di una sanissima ironia. Come abbia conseguito questo risultato può sembrare ancora un mistero; io credo che i motivi possano essere tanti, ma uno li sovrasta tutti: Enzo era un genio. Anzi, Enzo è un genio, totale, assoluto, irraggiungibile, insuperabile, irreplicabile. E allora, solo un altro genio poteva permettersi di riproporlo, trasmetterlo, renderlo ancora vivo; tra i pochi, non possiamo pensare a nome migliore di quello di Stefano Belisari, ossia l’Elio delle mitiche Storie Tese, talmente affini, tanto per estrazione quanto per percorso artistico, da poter risultare, addirittura, sovrapponibili.

Nasce così “Ci vuole orecchio – Elio canta e recita Enzo Jannacci”, uno spettacolo, scritto dallo stesso Elio per la regia e drammaturgia di Giorgio Gallione, con cui pure aveva messo già in scena la riproposizione de “Il Grigio”, una delle opere più controverse della produzione del citato Maestro Gaber, che non è solo un magnifico omaggio al cantautore milanese, con origini pugliesi, ma è, anche e soprattutto, come evidenziato in apertura di kermesse, un tentativo di rintracciarlo, scovarlo, stanarlo, di renderlo visibile alle presenti e – perché no? – future generazioni.

Lasciandosi guidare dalla visione surreale che da sempre gli è congeniale, Elio riesce magicamente a creare un ritratto di un artista che nessuno ha mai potuto né mai potrà etichettare, educare, legare, relegare ad un ruolo prestabilito; del resto – e chi, come me, c’era può testimoniarlo -, Enzo era solito palesarsi esclusivamente quando aveva qualcosa di importante da dire, quando era conscio che la sua creatura musicale fosse pronta a diventare un messaggio, un monito, un sasso lanciato in mezzo all’acqua stagnante del nostro Paese, spesso, come detto, utilizzando l’arma dell’ironia, nel tentativo di fare ancora più male e tentare di risvegliare le coscienze a lungo sopite. Ebbene, Elio, che ha da sempre fatto dell’ironia la sua regola, si attesta come il principe ereditario incontrastato di quella tradizione, il miglior rappresentante di un modo di intendere l’arte e la vita stessa di cui sentiamo sempre più il bisogno e che speriamo non vada mai persa.

Nella magica cornice della Lama Sottile di Monopoli, per i cartelloni estivi dell’Agìmus Festival, in trasferta da Mola di Bari, e del Ritratti Festival, abbiamo ritrovato integra e pulsante parte della vastissima produzione jannacciana, grazie anche ad un gruppo di tutto rispetto formato da Alberto Tafuri (pianoforte), Sophia Tomelleri (sassofono), Giulio Tullio (trombone), Pietro Martinelli (basso e contrabbasso) e Martino Malacrida (batteria), i quali, fedeli agli arrangiamenti del maestro Paolo Silvestri, hanno infuso i brani di ulteriori sonorità jazz, supportando il leader anche dal punto di vista attoriale.

Scorrevano così le meno note “Saltimbanchi”, “Sopra i vetri”, “Taxi nero”, “T’ho compraa i calsett de seda”, “Parlare con i limoni”, “Quando il sipario calerà”, assieme alle hit “Ci vuole orecchio”, “Silvano”, “La luna è una lampadina”, “L’Armando”, “El purtava i scarp del tennis”, “Faceva il palo”, “Son s’ciopaa” e “Vivere”, canzoncina dell’epoca fascista che fu rivista e corretta da Enzo assieme ai sodali Cochi e Renato, il tutto intervallato da gustosissimi monologhi rubati alle somme penne di Dario Fo, Umberto Eco, Michele Serra ed altri, tra cui lo stesso Elio, che si inserivano alla perfezione nel mondo di Jannacci. Alla fine, mancano alcune delle mie preferite, tra cui non e possibile non menzionare la splendida “Io e te”, che conosce una straordinaria versione di Mia Martini, “Vincenzina” e “Giovanni telegrafista”, ma tant’è: vuol dire che non ci resta che sperare in un “Ci vuole orecchio” bis.

Pasquale Attolico
Foto di Giuseppe Mirizio
dalla pagina Facebook della
Associazione Giovanni Padovano Iniziative Musicali – Mola di Bari

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