“Even as a young girl the music moved me, inspired me, made me dance with joy and cry with emotion. My life journey may have started in Mali, West Africa, as a descendent of the Peul tribe and the Fulani of Nigeria; but it certainly was nurtured by my childhood in the South and all of the amazing music that I was being exposed to.” (Dee Dee Bridgewater)
Billie Holiday, Ella Fitzgerald, Aretha Franklin, Sarah Vaughan, Dinah Washington e molte, molte altre: l’Olimpo delle voci femminili soul, blues, jazz e R’n’B è popolatissimo, ma, per nostra fortuna, di tanto in tanto, una nuova Dea sorge dalle acque come Venere. Dee Dee Bridgewater è certamente la più indicata in assoluto a ricoprire questo ruolo, essendo da anni l’indiscutibile oggetto dei desideri di tutti gli amanti della musica vera, una figura mitologica scesa sulle nostre povere vite per regalarci la sua immensa Arte, una leggenda vivente che non può essere rapportata alle sue colleghe/maestre icone del passato, perché merita sempre di essere ascoltata e seguita nella sua perenne ricerca di rinnovare con gusto e classe l’enorme repertorio blues, jazz e soul, perché ha voce e interpretazione completamente differenti, padrona di uno stile personalissimo e riconoscibilissimo al tempo stesso, perché– in una sola parola – è unica, come hanno potuto ancora una volta constatare i tantissimi spettatori che hanno fatto registrare il sold out dell’Arena Castello di Mola di Bari per il concerto inaugurale, che ha avuto tutti i tratti dell’evento e, in molteplici frangenti, ha raggiunto la perfezione assoluta, della tranche estiva del XXVIII Festival Agìmus, come sempre diretto dal Maestro Piero Rotolo.
Dee Dee si è presentata all’osannante pubblico nella stupefacente ‘versione soul’ che l’accompagna ormai dal 2017, anno di pubblicazione del suo strabiliante lavoro discografico “Memphis … Yes, I’m ready”, che in realtà è un ritorno al futuro per la divina, un sentito ed appassionato omaggio alla città che le ha dato i natali, in cui suo padre, con lo pseudonimo “Matt the Platter Cat”, si fece valere come trombettista e come dj, prima che tutta la famiglia si trasferisse nel Michigan, per l’esattezza a Flint, quando la piccola Denise – non ancora Dee Dee – aveva solo tre anni, e che oggi l’ha vista approdare negli storici studi della Royal, non lontana dal Collins Chapel Hospital dove è venuta alla luce, per registrare uno dei lavori più belli, energici, trascinanti, vitali della sua magnifica discografia, forte di una compiuta miscellanea di cover di celeberrimi brani di Al Green, Ann Peebles, Barbara Mason, Carla Thomas, Bobby Blue Bland, Isaac Hayes, David Porter, Gladys Knight, Otis Redding, B.B. King e persino Elvis Presley, che la Bridgewater ha riproposto da par suo, unendo perfettamente il rispetto del passato con una sorprendente originalità esecutiva.
Invero, il corso che avrebbe preso la serata è stato immediatamente chiaro a tutti sin dall’entrata in scena della Memphis Soulphony, che annovera Keenan Shotwell alle tastiere, Barry Campbell al basso, Charlton Johnson alla chitarra, Curtis Pulliam alla tromba e Bryant Lockhart al sassofono, Skyler Gordon e Shontelle Norman-Beatty ai cori, oltre a Carlos Sargent che, dall’alto della sua batteria, ha diretto l’intero progetto live: sono bastati pochi minuti, se non secondi, e siamo stati travolti da un fiume in piena che ci scorreva nelle vene e nelle orecchie, da un magma di sensazioni e di emozioni, ora impetuoso e devastante, ora fluido ed avvolgente, nuovamente conquistati dalla straordinaria versatilità e dall’indescrivibile espressività della Signora Bridgewater; mentre scorrevano capolavori senza tempo quali “Soul finger”, “Goin’ slow down”, “Givin’ up”, “Why (am I treated so bad)”, “Yes, I’m ready”, Don’t be cruel”, “I can’t stand the rain”, “Hound dog”, “I can’t get next to you”, l’atmosfera dell’Arena, satura delle sonorità profondamente Motown, si è incendiata, per poi esplodere definitivamente quando Dee Dee ha proposto le sue – invero memorabili – versioni di “Try a little tenderness” (a mio modesto parere, la più bella del disco e del concerto), “The thrill is gone” e “Respect”, finanche scendendo dall’Olimpo della Musica in mezzo al pubblico dell’Agìmus per farlo cantare insieme a lei e per dare a tutti la prova vivente dell’esistenza della divinità.
Pasquale Attolico