Chopin come sarebbe piaciuto a Chopin: Jan Lisiecki illumina la Stagione Concertistica della Fondazione Petruzzelli con una strabiliante esecuzione degli Studi e dei Notturni

Chopin non mette la sua soddisfazione nel fatto che le sue mani siano applaudite per la loro abile virtuosità da altre mani. Aspira ad un più alto successo. Le sue mani sono le fedeli serve della sua anima. E la sua anima è applaudita da gente che non ascolta solo con le orecchie, ma con l’anima. Perciò è il preferito da quella società eletta che cerca nella musica le più alte gioie dello spirito. I suoi successi sono di natura aristocratica. La sua gioia è come profumata dalle lodi della buona società. È la distinzione della sua stessa persona.” (Heinrich Heine)

Amo la musica per la sua capacità di toccare il cuore della gente e andare in profondità. Entrare in una sala da concerto dovrebbe essere come entrare in un santuario. Sei lì per avere un momento di riflessione, sperando di lasciare una sensazione diversa, rinnovata e ispirata. La musica può raggiungere l’anima, suscitare emozioni, aiutare a scoprirne di nuove. Ha un effetto terapeutico, può parlare alla gente in un modo molto intimo. Quando suono il mio cuore s’illumina. Provo gioia, felicità, amore; ma anche dolore e tristezza. A quel punto il più grande desiderio è di condividere le mie emozioni.” (Jan Lisiecki)

Mettere a confronto due affermazioni, pronunciate a secoli di distanza l’una dall’altra, e ritrovarle perfettamente sovrapponibili nella loro magnifica concezione, troppo spesso abiurata soprattutto in questi tempi incerti, dell’Arte della Musica, restituisce un’emozione che ha del magico, del prodigioso, del miracoloso, se non del divino, tutti appellativi che potrebbero, a ragione e senza tema di smentita, essere riconosciuti al Recital che Jan Lisiecki ha tenuto al cospetto di un osannante Teatro Petruzzelli per la annuale Stagione Concertistica della Fondazione Petruzzelli.

Invero, il programma, tutto dedicato all’amato Fryderyk Chopin, appariva come una sfida, in quell’inedito intersecare i dodici Studi dell’Opera 10 con altrettanti Notturni, proposti senza alcun riguardo alla data di composizione, ma seguendo una personalissima quanto ardita successione che andava a creare una playlist che – ammettiamolo – alla vigilia intimidiva, e forse impauriva, più di un ascoltatore.

Ma il talento è una dote sulla quale è praticamente impossibile mistificare: o c’è o non c’è, ed un pubblico attento e preparato lo capisce immediatamente, lo riconosce, in pratica, dall’odore, fiutandolo come una belva affamata fa con la sua preda, pronta a sbranarla se, anche solo per un attimo, la vittima predestinata si mostri non corrispondente alle aspettative. Jan, invece, di talento ne ha da vendere, unitamente ad una personalità interpretativa ben connotata, un suono distintivo ed una straordinaria maturità non solo artistica ma anche umana, dato che è impegnato in molteplici attività di beneficenza ed è stato nominato Ambasciatore dell’Unicef, che smentiscono la sua ancor giovane età (ventisette anni), oltre ad una tecnica raffinata ed una sensibilità poetica che crediamo innate.

Nel confronto con il genio di Chopin, poi, il pianista canadese, ma di origini polacche anch’egli – circostanza che, di certo, lo rende emotivamente affine al compositore –, dà senza dubbio il meglio di sé, dimostrando di saper estrarre dal pentagramma, con una naturalezza ed una precisione davvero sorprendenti, tutta la bellezza e lo splendore della partitura originale, tutto quell’irraggiungibile ed incontrastato pathos romantico di cui i Notturni sono pregni e, nel contempo, tutta la travolgente e vorticosa passione degli Studi, forte di un suono cristallino ed incisivo, talvolta finanche graffiante, di una tecnica saldissima e, soprattutto, di un tocco davvero unico, senza sbavature, estremamente elegante al pari della sua postura, denotata da scarsi movimenti del corpo e da una mimica ridotta all’osso, grazie anche alle lunghe braccia che gli consentono una copertura del pianoforte impressionante: in poche parole, è possibile affermare – con tutta probabilità – che la platea del Politeama barese ha avuto la fortuna di ascoltare Chopin eseguito come sarebbe piaciuto a Chopin.

La cura estrema del dettaglio che muove tutto il lavoro di Lisiecki veniva qui particolarmente in luce, dimostrando tutta la sua maestria nella gestione delle sfumature, dei volumi, delle dolcezze e delle ‘asperità’ (per quel che Chopin consente), nel dare risalto agli intarsi timbrici ed all’articolazione del fraseggio concepiti dal compositore, con un’intensità rigorosa, densa, carica di una positiva tensione espressiva, sino a realizzare una esemplare festa di colore, slancio e grazia, giustamente salutata dal lungo, catartico e liberatorio applauso tributato da un Petruzzelli esultante, cui il giovane pianista dedicava un Notturno di Ignacy Jan Paderewski – ancora un polacco – che il pubblico accoglieva in religioso silenzio, come un ulteriore pregiato tassello che andava a creare il magnifico puzzle di una serata indimenticabile.

Pasquale Attolico

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