Bisanti, Cassi, Leva, Simeoni, Zada, Fassi, l’Orchestra e il Coro del Teatro Petruzzelli catturano il pubblico con un’esecuzione memorabile del “Requiem” di Giuseppe Verdi

La Messa da Requiem mi rappresenta sempre l’arte posta a servizio d’un principio che non so accettare, ma quelle melodie, frutto di un poderoso ingegno, sono pur sempre la glorificazione, l’apoteosi della fede.” (Edoardo Spagnolo)

Vi sono delle nature virtuosissime che hanno bisogno di credere in Dio; altre, ugualmente perfette, che sono felici, non credendo niente e osservando solo rigorosamente ogni precetto di severa moralità”: è quanto scriveva Giuseppina Strepponi nel 1872 a suo marito Giuseppe Verdi, inserendo nel primo gruppo di uomini Alessandro Manzoni e nel secondo il suo stesso amato coniuge, riconoscendo in quest’ultimo un’etica rigorosa come poche. Di certo queste parole saranno tornate alla mente del Maestro quando, in morte del grande scrittore, sentì il bisogno, se non il dovere morale, di commemorare una personalità di sì assoluto rilievo nella neonata nazione italiana: “Vorrei mettere in musica una Messa da requiem da eseguirsi l’anno venturo per l’anniversario della sua morte. La Messa avrebbe proporzioni piuttosto vaste, ed oltre ad una grande orchestra ed un grande coro, ci vorrebbero anche quattro o cinque cantanti principali”. Ecco spiegata la genesi della “Messa da Requiem per l’anniversario della morte di Manzoni – 22 maggio 1874, che, in mancanza di liturgia funebre ufficiale, prese a prestito testo e interpreti della “Messa per Rossini”, per cui aveva composto il celeberrimo “Libera me”, realizzando – a detta di molti – un’opera ibrida, di certa ispirazione religiosa ma, anche, con una sua innegabile quanto insolita dimensione teatrale; le parole liturgiche vengono rivestite di musica solenne che individua un preciso fil rouge nel tema del “Dies Irae”, costantemente richiamato, con le sue notissime repentine esplosioni sonore, durante tutta la composizione, geniale espediente musicale che, creando fulminei ed improvvisi sprazzi di luce all’interno di una pagina permeata da cupa drammaticità, ha fatto sì che il capolavoro verdiano, così ampio, monumentale, umano, fosse paragonato, per forza e grazia, al “Giudizio Universale” di Michelangelo.

La recente esecuzione del Requiem di Verdi, inserita nella annuale Stagione Concertistica della Fondazione del Teatro Petruzzelli di Bari, aveva, per svariati motivi, già in sé tutte le prerogative dell’evento, ma la serata ha saputo andare oltre le attese, creando un’atmosfera magica, una vera catarsi che sarà difficile possa ripetersi in futuro.

Molto forte è stato certamente l’impatto emotivo dovuto all’annuncio che sarebbe stata l’ultima prova del Maestro Giampaolo Bisanti alla conduzione della “sua” Orchestra sul podio del Politeama che lo ha avuto per ben sei meravigliosi anni come direttore stabile, ma ritengo di poter affermare, senza tema di smentita, che ogni tassello ha concorso alla realizzazione di una performance senza dubbio memorabile.

La direzione di Bisanti era strepitosa, eccezionale per chiarezza di visione e cura delle parti, e riusciva a cogliere perfettamente lo spirito tragico e ieratico dell’opera pur risultando ugualmente efficace nella lettura delle pagine più liriche e celestiali, ancora una volta animata da una forza comunicativa impressionante che trasmetteva, grazie al ‘solito’ gesto coinvolgente ed espressivo, in modo chiaro e finanche risoluto all’ensemble, ottenendo risposte immediate tanto dai vari gruppi di strumenti dell’orchestra quanto dal coro e dai solisti impegnati, e valorizzando sia le individualità che la resa collettiva. Con una bacchetta di tale forza, non poteva non realizzarsi una superlativa sintonia tra l’Orchestra, incessantemente attenta, precisissima, perfetta nella sua capacità di rivelare una gamma vastissima di sfumature, ed il Coro del Teatro, che, sempre magistralmente preparato da Fabrizio Cassi, ha sussurrato, sofferto, minacciato e gioito come la partitura richiedeva, entrambi con una maestria tale da non temere il confronto con qualsivoglia compagine, come hanno dimostrato anche nella appena terminata trasferta in terra tedesca presso il Teatro d’Opera Staatstheater Wiesbaden dove, oltre al Requiem, hanno portato in scena l’“Aida con sempre vivo successo.

A rendere la serata unica ha contribuito certamente il quartetto di solisti, a partire da Maria Teresa Leva, soprano dalle infinite doti, anche in questa occasione distintasi per la linea del canto perfetta, omogenea e armoniosa, chiara e limpida, utilizzando colori variegati e sfumature sottilissime, ma senza mai una forzatura, padrona assoluta di un’interpretazione tanto drammatica quanto celestiale e dolente, stabilendo, peraltro, un contatto strettissimo, quasi intimo, tangibile sin dagli sguardi, col mezzosoprano Veronica Simeoni, anch’essa bravissima, in possesso di una voce ben equilibrata e gradevole, di spiccata musicalità; la perfetta intesa tra le due soliste consentiva di raggiungere vette inesplorate nei duetti, recuperando tutto il senso drammatico della pagina verdiana e rendendola sublime. Il tenore Azer Zada appare dotato di una notevole sensibilità musicale e stilistica, oltre ad una invidiabile padronanza dello stile e ad un fraseggio sapiente, che è riuscito a trasmettere anche nei registri acuti, resi senza la minima sbavatura. Riccardo Fassi ha affrontato le parti affidate alla voce di basso con una dedizione ed un’eloquenza particolari, elogiabile per stile, dizione ed accento, rasentando la perfezione.

Al termine di questo assoluto atto di fede in musica, solo gli applausi del pubblico che affollavano il Petruzzelli in ogni ordine di posto, riuscivano a rompere il silenzio interminabile, densissimo, irreale che saturava lo spazio teatrale, fino a sostituirsi ad esso in una meritatissima ovazione finale.

Pasquale Attolico
Foto di Clarissa Lapolla photography

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