“Diario di Pinocchio 20202065”, il falò delle verità di e con Roberto Corradino, chiude magnificamente la Stagione 2021/2022 del Teatro Kismet di Bari

“L’atto creativo non è eseguito solo dall’artista; lo spettatore porta l’opera in contatto col mondo esterno decifrando e interpretando le sue qualità intrinseche e così aggiunge il suo contributo all’atto creativo.”
(Marcel Duchamp)

Approcciarsi a uno spettacolo di Pinocchio sconta una componente originaria di noia non indifferente: “Oddio, l’ennesimo Pinocchio … nessuno arriva a Comencini … perfino Garrone si è cimentato in un film che ha fatto una discreta fortuna in competizioni condominiali come il David di Donatello”.
Grande classico delle recite scolastiche di fine anno, ha visto la sua allegoria accostata finanche ai grandi profeti delle religioni monoteiste come Giona e Cristo: cos’abbiamo ancora da dire su Pinocchio?

Roberto Corradino ha a che fare con Pinocchio da vent’anni, e per non essersi annoiato, merita una chance di comprensione. Non solo.
Il suo nuovo spettacolo, “Diario di Pinocchio 20202065”, di cui è regista, drammaturgo, interprete solo ma non solitario, come scopriremo, ha vinto il premio Tuttoteatro.com alle arti sceniche Dante Cappelletti 2020, quindi, come quando andiamo a vedere l’ennesimo film di Almodóvar, non foss’altro che per lamentarsi all’uscita, la chance andava data a questa produzione, realizzata con il sostegno di Verso Sud/Ecosistema, Ravenna Teatro, da Teatri di Bari e Reggimento Carri, che concludeva il cartellone della rassegna “Tutto Cambia” del Teatro Kismet di Bari a cura di Teresa Ludovico.

Che non sia uno spettacolo convenzionale, ce ne accorgiamo appena entrati. Veniamo dotati di un “device”, un naso in cartoncino colorato, che non esitiamo a indossare sopra le mascherine (come non pensare a “Eyes Wide Shut”?), e di un “programma”, un foglio bianco dove tutto è ancora da scrivere, o dove forse non c’è proprio un bel niente da scrivere.
Nessun posto assegnato sul biglietto, una guida sbrigativa e strampalata viene a prenderci dal foyer, e ci informa che Pinocchio non c’è. Noi tutti qui riuniti siamo alla sua mostra, alla commemorazione del suo diario e della sua opera, lui è scomparso quarant’anni fa, e il teatro si è trasformato in un’improbabile quanto usitata galleria d’arte.

Eh sì, Pinocchio, dopo essere diventato un bambino, è diventato un artista sovversivo. Chi meglio di lui è adatto a smascherare le grosse bugie di cui si serve il potere per assoggettare i deboli e i diversi? È lui, il miglior interprete del processo inverso di umanizzazione che aveva tanto sognato, ossia una deumanizzazione progressiva. E lo fa attraverso la cosa che gli torna più vicina: gli elementi della natura. La pietra, la terra, ma soprattutto l’acqua, dove la sua reminiscenza di legno vede un pericolo in cui marcire, più che un liquido amniotico; il fuoco, in cui vengono messi a bruciare i diversi come lui (immediato il richiamo ai forni crematori della Shoah); naturalmente il legno, protagonista della sua teoria creazionista che catapulta più volte lo spettatore in atmosfere alla “2001: Odissea nello Spazio” (ancora Kubrick); il vetro, perché un burattino può avere un cuore di vetro, ma specchiandosi percepisce quello che gli altri decidono che egli sia.

Ma gli spettatori, in tutto ciò, cosa sono? Con i loro “device”, circondati dalle opere di Pino Gelosi aka Pinocchio (gli elementi scenici sono stati realizzati dallo stesso Corradino), diventano essi stessi un’installazione, divisi dal gallerista che diventa burattinaio, ricchi contro poveri, feriti contro soldati, morti contro aiuti umanitari, colpevoli contro innocenti, in un viavai continuo di polarizzazioni e tifoserie, l’un contro gli altri armati del proprio naso.

È proprio il naso, il “device”, a dirci dov’è finito Pinocchio: siamo noi, Pinocchio, manovrati da burattinai, resi degli automi, preda delle bugie che diciamo, delle maschere che indossiamo, di come diventiamo per compiacere gli altri. La metadrammaturgia senza pareti, letteralmente, nell’ultimo atto dello spettacolo, sconfina nell’arena en plein air retrostante il teatro.

Svelare di più significa spoilerare lo spettacolo, ed è peccato. Mortale.

Lost inside
Adorable illusion and I cannot hide
I’m the one you’re using, please don’t push me aside
We coulda made it cruising, yeah

Perduta dentro
Illusione adorabile da cui non posso nascondermi
Sono quella che stai usando, per favore non mettermi da parte
Possiamo farci un viaggetto, sì

(“Heart of Glass” – Blondie)

Beatrice Zippo
Foto di Beatrice Zippo

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