Le perle musicali di Nino Buonocore risplendono di accecante luminosità nella loro nuova vita in jazz

Nino Buonocore ha sempre avuto un posto di rilievo nella mia personalissima classifica di gradimento. Sempre. I suoi brani mi hanno accompagnato dappertutto, ottimi compagni di viaggio che, seppur talvolta poteva capitare di crederli definitivamente persi negli stipati archivi musicali della mia mente, ritrovavo sempre fedeli al mio fianco, prodighi esclusivamente di momenti di impagabile serenità interiore. Il merito di questo inscindibile legame deve essere certamente assegnato alle parole utilizzate dall’autore, spesso minimaliste, essenziali, quotidiane, finanche familiari, e, comunque, sempre colme di ineffabile poetica, ma, anche e soprattutto, alle splendide melodie che lo stesso è riuscito, nel corso di tutta la sua carriera, a realizzare, donando raffinatezza, profondità e respiro a canzoni apparentemente strutturalmente semplici, padrone assoluto di quella incantevole alchimia che solo i grandi riescono a ricreare, al punto che si poteva supporre che James Taylor, Donald Fagen, Paul Weller ed altri di sì grosso calibro si fossero dati convegno in un vicolo di Napoli per dare fondo alla loro migliore produzione musicale e metterla al servizio dell’arte di Nino.

C’è poi un altro aspetto della personalità di Buonocore che mi ha sempre affascinato, vale a dire quel suo essere distaccato, puro, estraneo a quella malsana smania, a quell’incomprensibile gioco al massacro che sembrava aver catturato tutta la sublime scuola partenopea, presa dal voler a tutti i costi dimostrare al mondo di essere la migliore, di dover essere sempre in cima alle classifiche di vendita, anche se questo avrebbe voluto dire alienare la propria anima al diavolo del facile ascolto e del successo commerciale; non sappiamo se a causa della sua indole o di pesate scelte o ancora di una innata “naturale incertezza del vivere” (come titolava il suo album del 1992), fatto sta che il nostro ha preferito non partecipare a questa folle corsa verso gli abissi, ma, al contrario, centellinare le sue produzioni, in particolare, da un po’ di tempo a questa parte e se si eccettua la pubblicazione nel 2013 di Segnali di umana presenza, per quanto attiene gli album di inediti, opportunamente dedicandosi – ben prima che divenisse una moda – alla rilettura in chiara matrice jazz del suo straordinario repertorio, dichiarazione d’intenti da cui nascevano Libero passeggero nel 2004, Scrivimi (Greatest Studio Unplugged) nel 2009 ed, infine, Nino Buonocore in Jazz (live), primo disco dal vivo del cantautore registrato a febbraio 2020 all’Auditorium del Parco della Musica di Roma.

Sulla scorta della recentissima produzione discografica, è nato il tour che ha segnato il ritorno di Buonocore al Teatro Forma di Bari in un concerto, propriamente inserito nella Rassegna “Around Jazz“, che ci ha riconsegnato il medesimo grande artista di sempre, integro, vitale, con una voglia di musica che il passare degli anni non ha scalfito: arroccato dietro le sue immancabili chitarre, Nino si presentava ad una platea giustamente sold out ed entusiasta, a capo di un quartetto che poteva vantare l’altissimo livello della ritmica del contrabbasso di Antonio De Luise e della batteria di Amedeo Ariano, oltre all’ottimo pianoforte di Antonio Fresa; soprattutto quest’ultimo (non ce ne vogliano gli altri musicisti) donava quel tocco di qualità, di purezza, di perfezione all’esibizione, e la sua commistione con il band leader risultava perfettamente sublime, esaltando l’incontaminata classe delle sue composizioni, come quando i due si sono confrontati in assoluta solitudine sulle note dello splendido inedito L’amore è nudo. Con questi presupposti, Buonocore ha donato al pubblico del Forma alcune sue perle di accecante luminosità, con più di un richiamo a quel – a mio modesto parere – capolavoro assoluto che fu – ed è – l’album del 1990 Sabato, domenica e lunedì, nato dalla collaborazione con i membri dei mitici Steely Dan, da cui ha estratto Abitudini, Solo un po’ di paura, Così distratti e la divina Scrivimi, cui si aggiungevano, tra le altre, Anche questo è amore, E se qualcuno domani, Boulevard, Rosanna, L’amore che non vedi, Esercizi di stile, A chi tutto a chi niente, Meglio così, Tra le cose che ho, brani di cui si poteva apprezzare non solo l’inestimabile valore ma anche la strategica collocazione in scaletta, che era lo stesso cantautore a spiegare amabilmente ai presenti, una serie di fili preziosi che andavano a creare un arazzo di tale indicibile bellezza che non è possibile sdrucire e che il tempo, pur non fermandosi, non riuscirà a cambiare mai.

Pasquale Attolico
Foto dalla pagina facebook di Nino Buonocore

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