“È veramente importante questo concerto ogni anno, ma lo è ancora di più oggi, perché il mondo è in una situazione davvero difficile. Vedere così tanti musicisti che suonano insieme come un’unica comunità, un gruppo di persone accomunate dallo stesso pensiero e dallo stesso sentimento, ci fa capire che il Covid non è soltanto una catastrofe sanitaria, bensì anche umana, che ci allontana gli uni dagli altri. Noi tutti dovremmo prendere esempio da questa straordinaria orchestra e cercare di vivere insieme e uniti questa catastrofe.” (Daniel Barenboim)
Nei tempi oscuri che ci è dato di vivere, poter attestare che la nuova Stagione Concertistica della Fondazione del Teatro Petruzzelli si è aperta con una serata memorabile, tanto per programma quanto per artisti impegnati, è, a modesto parere di chi scrive, certamente valutabile come una poderosa iniezione di fiducia, al pari delle parole pronunciate dal Maestro Barenboim in altra sede e riportate in apertura di articolo.
“Perché mai non seppi che qualcuno avrebbe potuto comporre un concerto per violoncello come questo? Se solo lo avessi saputo, ne avrei composto uno tanto tempo fa.” Con queste parole Johannes Brahms salutò l’esecuzione del Concerto n.2 in si minore per violoncello e orchestra op.104 composto dal suo amico Antonín Dvořák, che resta a tutt’oggi, con le sue melodie memorabili, i suoi potenti vertici sinfonici, il suo accattivante virtuosismo e la sua travolgente emotività, una pagina musicale emozionante come poche. Considerato dai violoncellisti non “un” concerto qualunque, ma semplicemente “il” concerto per violoncello e, pertanto, tra i più eseguiti al mondo, questo capolavoro assoluto datato 1895 (il suo cosiddetto “periodo americano”), l’ultimo tra quelli composti dal compositore ceco per strumento solista, pur attingendo alle fonti della musica popolare deve ritenersi, grazie alla sua struttura divisa nei canonici tre movimenti (allegro / quasi improvvisando: adagio ma non troppo / finale), un classico insuperabile del repertorio romantico, anche se il notevole equilibrio tra il solista e l’orchestra che lo caratterizza e contraddistingue contravviene sensibilmente allo schema che voleva l’ensemble asservito allo strumento principe, lasciando che i due si cerchino, inseguino, incalzino, bracchino, senza sosta e soluzione di continuità, apparendo e scomparendo alla nostra vista a loro piacimento.
Gautier Capuçon, star transalpina che, in pochi anni, è stato giustamente assunto agli altari della notorietà mondiale grazie alla sua altissima cifra stilistica che unisce dolcezza e virtuosismo, qualità innate e oltremodo valorizzate dalle poliedriche sonorità, ora corpose ora eteree, ora brade ora docili, del suo violoncello, un Matteo Goffriller del 1701, sul palco del Petruzzelli ha offerto una prova sublime, di indicibile pathos. Incalzato ed, a sua volta, incalzando la magnifica Orchestra del Teatro, in assoluto stato di grazia senza dubbio per merito della magica bacchetta del suo Direttore stabile, il Maestro Giampaolo Bisanti, Capuçon non era più solo un musicista che si serve del suo strumento per produrre dei suoni, ma, semmai, il violoncello appariva come una estensione delle braccia, una naturale protesi staccatasi dal corpo dell’artista, finalmente riuscito a riappropriarsene per il breve momento del concerto. L’interminabile ed osannante applauso degli spettatori che affollavano il Politeama in ogni ordine di posto, di fatto sugellando il primo – ci auguriamo di tanti altri – sold out dell’anno, era il degno finale di una performance di elevatissimo livello, palpitante, viva, sugellata dalla concessione di ben due bis, tra cui la splendida “The song of the birds” di Pablo Casals, esecuzione che sarebbe stata funestata dalla solita importuna suoneria di un telefonino tra il pubblico, peraltro attentissimo, se Gautier non avesse superato l’impasse con una squisita battuta.
“Un’immensa composizione strumentale di un genere nuovo, con cui cercherò di impressionare fortemente gli ascoltatori”: così Hector Berlioz presentava al mondo la sua “Sinfonia fantastica – Episodi della vita di un artista, in cinque parti – op.14”, senza dubbio il capolavoro più rappresentativo della sua produzione, un’opera dalla riconosciuta complessità esecutiva, figlia di una tormentata vicenda biografica di amore non corrisposto per l’attrice irlandese Harriet Smithson, che, in realtà, Berlioz non avvicinò mai, idealizzandone la figura. Manifesto della corrente estetica della cosiddetta “musica a programma”, che, rivoluzionando il passato, riteneva indispensabile la contaminazione della musica con la poesia, la pittura e finanche la filosofia, così da produrre suoni nuovi ed inimmaginabili, la “Sinfonia Fantastica”, raccontando il viaggio emozionale di un immaginario artista avvelenatosi con l’oppio per amore di una donna ed in preda a visioni, sogni ed ossessioni, ci consegna una narrazione dal carattere onirico ed originale, a partire dalla suddivisione in cinque movimenti, invece dei tradizionali quattro, che rappresentano, in sintesi, altrettante scene drammatiche, sospese tra cronaca ed immaginazione, in cui sono le atmosfere oscure ed allucinate a farla da padrona.
E la forza di quello che è stato, a ragione, definito “un manifesto dello stile romantico nella versione sturm und drang”, traspariva tutta nel gesto, in quell’incessante muoversi, saltare, danzare, cantare persino, del Maestro Giampaolo Bisanti, sotto la cui mano la prova dell’Orchestra è apparsa davvero formidabile, in più tratti addirittura perfetta, in assoluta simbiosi con la più che singolare, se non unica, spinta sonora ed emotiva determinata dal dettato del “suo” Direttore; la lettura che Bisanti presenta dell’ostica pagina berloziana è apparsa romanticamente appassionata, ma anche sorprendentemente lucida, approfondita, minuziosa, matura ben oltre la ancor giovane età del nostro, capace di esaltare ogni dettaglio con precisione certosina, così da creare una esemplare elegia estetica dell’opera, da cui emergono distintamente tanto il furore, i contrasti, il desiderio, gli impeti, quanto la profondità, la malinconia, il lirismo, finanche le più impalpabili sfumature emozionali nascoste nel pentagramma, dimostrando uno studio sempre più raffinato e magistrale di quell’immenso quanto impalpabile strumento che un’intera orchestra è.
Dopo il Family Concert del 9 gennaio, con l’Orchestra d’Archi del Teatro Petruzzelli guidata dalla direttrice musicale di palcoscenico della Fondazione Petruzzelli Roberta Peroni, ed il recital di Leonidas Kavakos ed Enrico Pace del 21 gennaio, toccherà al Tristan und Isolde di Richard Wagner aprire il 25 gennaio la Stagione d’Opera e Balletto 2022 della Fondazione Petruzzelli.
Pasquale Attolico
foto: Clarissa Lapolla photography