Il mitico marchio di “Zorro” illumina il cielo barese grazie al “Francesco Bearzatti Tinissima Quartet” e al “Revenge Fest 2021” dell’associazione “Nel gioco del jazz”

Quando l’allievo è pronto, il maestro apparirà.” (dal film “La maschera di Zorro” 1998)

Gli adolescenziali – se non infantili – pomeriggi di gran parte dei miei coetanei erano – come i miei naturalmente – disseminati di ore passate davanti al tubo catodico, giovanissime menti prede di cartoni animati o serie tv in cui, di solito, si narravano le gesta di mitici eroi senza macchia e senza paura, per lo più nemici giurati delle ingiustizie, che, in un modo e nell’altro, la facevano sempre franca di fronte alle avversità ed alle vessazioni del potente di turno. Tra questi aveva senza dubbio un posto particolare Zorro, il noto personaggio letterario creato dalla penna di Johnston McCulley, divenuto protagonista assoluto di una produzione televisiva Disney, trasmessa in Italia con il titolo “La spada di Zorro”.

Ora, pochi ricorderanno che la famosissima sigla del programma, nella versione originale composta da Norman Foster e George Bruns ed eseguita dal gruppo Mellomen, ma poi sostituita dalla trasposizione italiana dello Zig Zag Ensemble, si apriva con un cielo minaccioso squarciato da un fulmine che presagiva una ormai imminente tempesta nonché il sopraggiungere del valoroso spadaccino a cavallo del suo destriero; ebbene, pur non credendo che abbia risposto ad una precisa quanto ardita volontà pubblicitaria di organizzatori ed artisti, vi assicuro che guadagnare l’Arena della Pace di Bari nel bel mezzo di un proliferare di lampi e saette è apparso comunque un modo adeguato – seppur insolito – di introdurre il concerto, dedicato proprio al vendicatore mascherato, del Francesco Bearzatti Tinissima 4et (nome nato dalla prima produzione discografica del 2008 dedicata alla grande fotografa anarchica Tina Modotti) che di lì a poco avrebbe aperto la seconda tranche dell’ottimo “Revenge Fest 2021” dell’associazione “Nel gioco del jazz” che, grazie al mai domo impegno di Roberto Ottaviano e Donato Romito, ha riportato nel capoluogo pugliese il migliore jazz del panorama internazionale prima, nel mese di luglio, ed italiano ora.

Diciamo subito che quanti – e purtroppo sono stati in tanti, troppi per una città che dovrebbe essere affamata di musica di sì alto livello – si sono fatti scoraggiare dal tumulto del cielo hanno commesso un enorme errore di valutazione, dato che, dopo un breve scroscio d’acqua piovana, il quartetto ha dato vita ad un set di rara bellezza ed energia, caratteristiche che stanno facendo apprezzare il progetto di Bearzatti in tutto il mondo, con pubblico sempre straripante e, soprattutto, appagato e soddisfatto, tanto che spesso si sente il bisogno di tornare ad ascoltare il concerto una seconda volta, circostanza effettivamente accaduta a chi scrive.

La tromba di Giovanni Falzone, il basso elettrico di Danilo Gallo e la batteria di Zeno de Rossi, naturalmente insieme a sassofono e clarinetto del band leader, si sono magnificamente prodotti, senza sosta alcuna, nella fiabesca quanto favolosa suite che dà vita a “Zorro”, l’album edito nel 2020 per la Cam Jazz, scorrendo, tra l’eccitazione degli astanti, tutti i capitoli della storia, ognuno dedicato ad uno dei protagonisti o alle vicende affrontate dall’eroe, in un susseguirsi di emozioni difficilmente descrivibile.
Dopo l’omonimo breve brano di apertura, un’ideale piccola traccia sui titoli di testa dell’immaginario film che sta per investire la nostra fantasia, che verrà sviluppato in chiusura in “El triunfo del Zorro”, Bearzatti utilizza i suoni tristi e rarefatti, quasi con echi andini, del flauto indiano per introdurci in “Tierra India” e farci vedere le miserrime condizioni del popolo natio della California, vittima del colonialismo spagnolo, contraltare del successivo “El regreso”, quasi una danza in stile mariachi, cronaca del festoso rientro in patria del rampollo Don Diego, mentre la sua presa di coscienza e la decisione di trasformarsi, all’occorrenza, nel Cavaliere Nero è perfettamente tratteggiata in “Algo Mal”, probabilmente il brano portante dell’intero lavoro, seguito da quattro estratti che descrivono i vari personaggi di contorno al nostro eroe: “Bernardo”, accattivante bebop di ottima fattura, “Sargento Garcìa”, con il clarinetto e la tromba che sembrano imitare il passo goffo e claudicante del pacioso ufficiale mai seriamente intenzionato ad arrestare Zorro, “Lolìta”, splendida quanto avvolgente composizione, e “Tornado”.

Un concerto liberatorio, indispensabile, necessario, anarchico, rivoluzionario, finanche Politico oseremmo dire (nell’accezione più alta del termine), potente e riflessivo allo stesso tempo, permeato di trovate geniali, coinvolgente in ogni istante, sino al bis su richiesta con la sublime “Okemah” tratta da “This machine kills fascists” (divina citazione del miglior Woody Guthrie), con i quattro fantastici musicisti che evidenziano sempre una coesione più unica che rara, tutti in piena osmosi da entusiasmo creativo, e che, in tempi di approssimazione ed improvvisazione (nella peggiore accezione del termine) come quelli che dobbiamo sopportare, si fanno interpreti di una nuova dialettica, di un discorso aperto che ha tutte le potenzialità per arricchirsi, ogni giorno, di nuove motivazioni, nuove sonorità, nuove sfide, restituendo al jazz la sua essenza più vera, più essenziale, più viva.

Pasquale Attolico
Foto: Beatrice Zippo

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