Melomani, amanti della scrittura, estimatori del teatro: ha messo tutti d’accordo “La Traviata delle Camelie”, andata in scena il 30 giugno scorso, primo appuntamento speciale tra quelli in Cartellone dell’Agimus Festival, giunto quest’anno alla sua XXVII edizione, un faticoso traguardo che in epoca pandemica ha tutta l’ebbrezza di una sfida, duramente sofferta ma tenacemente vinta.
Una “Signora delle Camelie” tra parole, musica e ironia.
Le parole sono state quelle di Alexandre Dumas, affidate alla raffinata narrazione di David Riondino.
La musica quella delle arie verdiane della Traviata, ispirata al celebre romanzo, e interpretate dalla soprano cinese Beibei Lì, emozionante Violetta.
L’ironia quella di Dario Vergassola, dissacrante e irriverente, ma moderatamente. Meno dirompente del solito.
Avvolti nella suggestiva cornice del Chiostro di Santa Chiara, tra le più belle strutture storiche di Mola di Bari, abbastanza vicini, ma non troppo, siamo tornati a sentirci parte di quella comunità che, tra timori e incertezze, non vuole rinunciare a scommettere sulla Bellezza dell’Arte in tutte le sue declinazioni. Se la consapevolezza di essere ancora tenuti in scacco da un nemico invisibile ha tracciato i confini del distanziamento fisico e tenuto a freno gli slanci d’affetto, l’esilarante scambio di battute tra i due attori e la vibrante voce di Violetta, accompagnata dall’esecuzione di musica dal vivo, hanno rapito e conquistato il numeroso pubblico.
Un concerto-spettacolo che ha portato in scena la forza della parola, l’intensità della musica, la magia del teatro e ha saputo emozionare, divertire e stupire. Partendo dall’assunto, fantasioso e provocatorio, che i comici televisivi siano da considerarsi i responsabili del basso livello culturale europeo, i protagonisti hanno duellato in un siparietto che ha visto Riondino nel ruolo di torturatore culturale e Vergassola in quello di cabarettista da Bar, prototipo dell’ignoranza dilagante, condannato alla pena di ascoltare il racconto di un classico della letteratura, “La Signora delle camelie” di Alexandre Dumas figlio (edito nel 1848).
La storia dell’amore infelice e scandaloso tra l’affascinante e ambita cortigiana parigina Marguerite Gautier ed il giovane timido e insicuro Armando Duval, che si scopre crudele e vendicativo quando viene lasciato. Tra i due la passione è destinata ad ardere eterna, più forte di qualsiasi cosa, anche della morte, con l’autore schierato apertamente dalla loro parte contro un mondo, una società, che li rifiuta e li combatte proprio perché hanno superato i limiti delle convenzioni sociali su cui è arroccato un ceto borghese ipocrita e bigotto. Un libro che la letteratura annovera tra i capolavori senza tempo. Un romanzo che immortala la protagonista femminile per il suo modo, discreto e malizioso, di comunicare la disponibilità agli incontri amorosi, esibendo quelle camelie che rendono particolarmente allusivo il titolo.
Gli elementi che conferiscono una connotazione drammatica alla trama ci sono tutti: bellezza, prostituzione, gelosie, tradimenti, bugie, sofferenza, solitudine, pentimento.
Riondino, da “fine dicitore”, ha fatto di questo romanzo un’erudita e appassionata narrazione. Istrionicamente ha saputo alternare tono solenne a rivelazione ruffiana, trascinando il pubblico in un ascolto partecipe e curioso.
Ad incalzarlo la corrosiva e tagliente vena satirica del comico, che ha azzardato pungenti riferimenti a vicende di storia recente, confermandosi ineguagliabile improvvisatore nel saper trarre ispirazione, per le sue irresistibili battute, dal contesto territoriale e scenico che lo ha ospitato. Recitando la parte dello scolaretto discolo e impertinente si è intromesso nella storia, ha esternato chiose strampalate.
Ma è stata una partita persa in partenza per Vergassola! Perché il classico non si batte, è intramontabile, resiste a qualunque picconata o tentativo di banalizzazione. Non conosce oblio.
Dumas racconta ancora l’attualità del perbenismo di facciata, della caccia alle streghe. Marguerite e Armando siamo noi. Le loro fragilità sono le nostre esuberanze, le loro trasgressioni sono le nostre stravaganze, i loro vizi sono le nostre sfrenatezze, i loro eccessi sono le nostre eccentricità. Nella sostanza gli stessi grovigli, a cui abbiamo dato soltanto nomi diversi.
La narrazione ha raggiunto momenti sublimi quando ha ceduto la scena alla trasposizione melodrammatica, che fu realizzata da Verdi con “La Traviata”. La passione tradotta in musica è diventata struggimento tra Alfredo e Violetta che ha rivissuto nella voce accorata della cantante cinese, Beibei Li, splendida interprete delle arie verdiane riarrangiate per ensemble da camera ed eseguite da musicisti di alto profilo: Fabio Battistelli al clarinetto, Valentino Corvino al violino e Riviera Lazeri al violoncello.
Letteratura e musica si sono contese il palcoscenico, contaminandosi. La forza narrativa del romanzo di Dumas è diventata commozione e tensione emotiva nel canto di Violetta, che la musica dal vivo ha tradotto in vibrante passione. La comicità di Vergassola ci ha restituito la leggerezza e la spensieratezza della risata, a cui ci siamo abbandonati con pudore, quasi con un senso di colpa, attenti a non fare troppo rumore.
Abbiamo bisogno di ricominciare a frequentare la Bellezza!
Un immenso grazie all’Associazione “Giovanni Padovano” che ce ne offre l’opportunità, confermandosi imprescindibile punto di riferimento nell’organizzazione di prestigiosi eventi musicali, che hanno il merito di coniugare sempre divertimento e cultura musicale di valore nelle sue molteplici e poliedriche espressioni.
Katia Berlingerio
Fotografie di Sabino Guardavaccaro
per gentile concessione dell’Agimus Festival