Film da (ri)scoprire: “Suite francese (Suite française)” di Saul Dibb – La musica, veicolo d’amore oltre l’odio e la guerra

Premessa.
Il film del 2014, rimasto di fatto sconosciuto ai più, soprattutto perchè mal distribuito nelle sale cinematografiche, è tratto dalla seconda parte, intitolata Dolce, dell’omonimo romanzo di Irène Némirovsky, scritto durante l’occupazione nazista della Francia, ma pubblicato postumo solo nel 2004, a più di sessant’anni dalla sua stesura, grazie ad un manoscritto miracolosamente salvato dalla figlia dell’autrice.

La storia.
A Bussy, cittadina dell’Ile de France, Lucille (la bravissima Michelle Williams), bellina, dolce e diafana, vive nella villa della suocera, Madame Angellier (interpretata da una stupenda Kristin Scott Thomas), donna dura e severa, dove attende il ritorno del marito, prigioniero dei tedeschi. Siamo nei primi mesi del 1940 quando si verifica l’occupazione della Francia da parte dei tedeschi. Nella piccola cittadina giungono i profughi dalle grandi città (soprattutto da Parigi) e contemporaneamente giungono anche le truppe tedesche di occupazione. I tedeschi devono trovare alloggi per i propri ufficiali e, non avendone alcuno a disposizione, le confiscano alle famiglie francesi.
Nella villa ove vive Lucille con la severa suocera risiederà il tenente Bruno von Falck (Matthias Schoenaerts), un tedesco anomalo rispetto al cliché noto: giovane, raffinato, appassionato conoscitore di musica classica ed ottimo pianista. E in quella villa c’è un piano, suonato, con visibile fastidio, dalla suocera. Lucille, che ama visceralmente la musica, inizialmente si mostra, al pari della padrona di casa, indifferente ed ostile verso il forzato ospite, sino a quando sente una musica celestiale eseguita al piano dall’ufficiale tedesco. Quando, complice l’assenza del militare, riuscirà a leggerne lo spartito, ne tasterà con le mani le note, scoprendovi una struggente e sconosciuta melodia.
Quando, incontrato Bruno nel giardino della villa, gli chiederà, con molta timidezza, chi fosse l’autore di quelle note, lui le confesserà che quella musica non la troverà mai in commercio perché l’ha scritta lui, essendo stato, prima della guerra, un compositore.

Ma la vita scorre nella cittadina, vittima dei bombardamenti e delle prepotenze degli occupanti, ma anche delle viltà di una parte della popolazione. Eppure, nonostante questo scenario, Lucille e Bruno sono sempre più vicini, i loro cuori battono contemporaneamente e si innamorano, consumandosi in delicati baci e in un solo castigato amplesso. Cullati dalle dolci note del pianoforte, Lucille e Bruno si lasciano travolgere dalla passione e dalla musica. Però non c’è lassismo. Qui c’è la lotta tra ragione e sentimento: da una parte c’è il tenente Bruno con la sua sensibilità di uomo colto e raffinato, che combatte tra i suoi sentimenti ed i doveri di militare al servizio di un regime oppressivo, mentre dall’altra c’è la giovane e bella Lucille, i cui sentimenti sono contrastati dai doveri verso la sua nazione e i suoi concittadini, portandola ad una presa di coscienza morale che, al contrario delle posizioni ideologiche aprioristiche, cresce giorno dopo giorno attraverso episodi di vita vissuta, in reazione alle ingiustizie e violenze subìte, dall’amico ingiuriato all’amica molestata fino alla donna ebrea deportata, percorso che viene finanche condiviso da sua suocera che, attraverso il dolore e la rabbia, diventa pian piano umana e alla fine riuscirà perfino a commuoversi.

E tuttavia Lucille e Bruno scoprono tutte le paure, i dubbi e le parole non dette racchiuse nei loro cuori. Il loro amore è una scintilla di bellezza, uno spiraglio di luce mentre intorno regna il buio e il caos e gli uomini si sono persi, che porta entrambi a intraprendere un viaggio ed una esplorazione all’interno del proprio animo.
Ma il loro destino è segnato. Da una parte Bruno che deve dare corso alla vendetta dei tedeschi per un loro commilitone ucciso e dall’altra Lucille che, questa volta con l’aiuto della suocera, permette ad un concittadino anarchico di raggiungere Parigi per entrare nella resistenza, non senza l’aiuto del suo “amato nemico” che trasgredirà agli ordini pur di salvarla.
Il film si conclude con le ultime frasi di Lucille, che, dopo quattro anni, a guerra finita, quando probabilmente Bruno è morto, afferma che la musica la riporta sempre a lui.

Le mie riflessioni.
Come ho detto, Suite francese (Suite française), film del 2014 diretto da Saul Dibb, si basa su di una storia vera tratta dal manoscritto di Irène Némirovsky, scoperto da sua figlia e portato a conoscenza universale nel 2004. Il merito più grande di questa trascurata chicca cinematografica consiste nel descrivere una storia romantica vissuta in una atmosfera drammatica, senza compiacimento, senza cadere nel patetico e nel sentimentale. Infatti descrive in maniera asettica gli avvenimenti nei quali sono coinvolti drammaticamente tutti i componenti, gli occupanti e gli occupati, dove vengono messe in risalto le conseguenze delle guerre che sconvolgono i comportamenti e i destini degli uomini e delle donne. E tuttavia, al di là delle devastazioni, degli odi, della morte, nei protagonisti prevalgono i sentimenti, guidati dalla musica, cioè un linguaggio universale.

E la musica struggente (scritta da Alexander Desplat, noto e delicato compositore di musiche da film) non soltanto costituisce il fil rouge che unisce Lucille e Bruno, ma anche il percorso umano e sentimentale di chi vede il film. Certo, c’é la guerra; certo, c’è la presa di coscienza, soprattutto da parte di Lucille, del suo impegno umano, sociale e poi politico, ma anche di Bruno che, per amore, accetta il suo drammatico destino. Ma, su tutto, c’è la magia della musica struggente che va al di là dell’odio, al di là della guerra e che costituisce il trait d’union tra i due amanti, scolpito nel pensiero finale del film, espresso sommessamente dalla protagonista: “Non so se è vivo o morto. Ma la musica mi riporta sempre a lui”.
Ecco, concludo con il titolo: in questa Suite française c’è la musica, linguaggio universale, che va al di là dell’odio e della guerra e che richiama l’amore tout court.

Nicola Raimondo

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