La classe regale ed incontaminata di Norma Winstone in concerto per “Nel gioco del jazz”

I know where beauty lives: I’ve seen it once, I know the warm she gives. The light that you could never see it shines inside, you can’t take that from me. How would they hear the beating of my heart? Will it grow cold the secret that I hide? Will I grow old? How will they hear? When will they learn? How will they know? Hope I live to tell the secret I have learned; till then, it will burn inside of me.” (Madonna Ciccone)

Che cosa resta del passato quando il tempo sembra voler accelerare i suoi inclementi battiti? Come ci si può difendere? Per evitare di farsi derubare delle antiche forze e della conquistata gloria invero si può fare ben poco; ma se ci si vuole armare di uno strumento che, più degli artifizi chirurgici, possa aiutare a fronteggiare e rallentare l’inesorabile ticchettio, occorre fare senza dubbio ricorso alla Classe, quella con la C maiuscola, qualità rarissima che solo taluni esseri umani ricevono in dono.

Norma Winstone non ha mai avuto alcun problema a manifestare la propria innata classe.
La sua inimitabile voce ed il suo naturale aplomb britannico hanno sempre avuto una marcia differente, sin da quel lontano 1969 quando, dopo la militanza nella band di Michael Garrick, affrontò la sua prima registrazione con Joe Harriott. Tre anni più tardi, a soli trentuno anni, Norma incide il suo album d’esordio, “Edge of time”, che la proietta nell’Olimpo del jazz europeo e mondiale; diviene così la musa ispiratrice di generazioni di musicisti, tra cui John Surman, Michael Gibbs, Mike Westbrook, Jimmy Rowles e Fred Hersch, mentre una storia a parte – che meriterebbe di essere raccontata – è legata al sodalizio artistico ed umano con il pianista John Taylor, con cui fonda, assieme al trombettista Kenny Wheeler, il trio Azimuth, attivo dal 1977 al 2000, che, con soli cinque album, ha di fatto ridisegnato la mappa del jazz moderno.

Forte di questo ineguagliabile bagaglio artistico, la Signora Winstone, dopo il rinvio dovuto alla pandemia da Covid19, è finalmente giunta nella nostra regione per due straordinari concerti nella strabiliante cornice delle Grotte di Castellana e nella più familiare sala dell’AncheCinema di Bari, grazie alle belle menti dell’Associazione Nel Gioco del Jazz, che si stanno alacremente impegnando per continuare a proporre eventi di altissimo spessore, nonostante i tempi incerti che ci è dato in sorte di vivere.

Presentata, in assenza del direttore artistico Roberto Ottaviano, dal presidente dell’associazione, Donato Romito, ed accompagnata, come capita ormai all’incirca da una ventina d’anni, dall’ottimo Glauco Venier, pianista dalla spiccata sensibilità, caratteristica che gli permette sempre non solo di riuscire ad afferrare l’essenza dei brani affrontati, ma anche e soprattutto di cogliere, con rara intelligenza, i momenti in cui lasciare che risplenda la stella della serata e quelli in cui potersi lanciare in – sempre misuratissimi e pregevolissimi – voli solitari, Norma ha regalato al pubblico della serata barese – la seconda – una performance affascinante, una raccolta – per lo più – di cover che, pur lontane e diversificate, vengono sempre affinate e perfezionate dalla sua personalissima visione musicale; si parte sulle note di “Live to tell” di Madonna, sorprendente per pathos e bellezza nella versione winstoniana, che, probabilmente, l’artista londinese sente a lei vicina per il testo che abbiamo citato in apertura d’articolo, e si prosegue con molti brani tratti da colonne sonore, tra cui “Everybody’s talking”, capolavoro di Harry Nilsson inserito in “Un uomo da marciapiede”, “His eyes, her eyes”, scritta da Michel Legrand per “Il caso Thomas Crown”, una spericolata danza scozzese tratta dalla colonna sonora di “Rob Roy”, il tema di “Malena” di Ennio Morricone, “Descansado” di Armando Trovajoli da “Ieri oggi e domani” e l’ipnotico bis con “What is a youth” del nostro Nino Rota da “Romeo e Giulietta” di Franco Zeffirelli, in cui si inseriscono anche “Time of no reply” dell’indimenticabile Nick Drake, nonché una composizione, a firma proprio del fantastico duo, che ha avuto l’onore di essere oggetto della tesi di una studentessa di Conservatorio, presente in sala.

Sul tappeto volante sonoro creato da Venier, la Winstone pare camminare ad occhi chiusi e a piedi nudi, con una grazia regale, incontaminata, pura, eterea eppur terrena, placida eppur energica, ancora padrona di una voce da brividi, che sembra sempre sul punto di doversi spezzare e, invece, non fallisce una sola nota, giungendo senza filtri nel fondo dell’anima degli ascoltatori.

Pasquale Attolico

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