“Nessun uccello vola appena nato, ma arriva il momento in cui il richiamo dell’aria è più forte della paura di cadere e allora la vita gli insegna a spiegare le ali.” (Luis Sepúlveda)
“Quando camminerete sulla terra dopo aver volato, guarderete il cielo perché là siete stati e là vorrete tornare.” (Leonardo da Vinci)
Da quando, su queste stesse pagine, abbiamo avuto il piacere di recensire “In volo”, l’ultimo lavoro discografico di Michele Perruggini (https://www.ciranopost.com/2019/06/21/in-volo-la-stupefacente-metamorfosi-musicale-di-michele-perruggini/), ne avevamo immaginato un’esecuzione live che, pur nelle evidenti difficoltà di riportare dal vivo le seducenti sonorità di cui il cd è pregno, potesse consegnare ad un pubblico presente e pulsante quelle stesse emozioni che si provano all’ascolto del supporto digitale.
Ebbene, ogni nostra più rosea aspettativa si è materializzata davanti ai nostri occhi nella serata dello scorso 1° dicembre, allorquando si è ripetuta la magia che scaturisce dalle pagine ideate, composte e – crediamo – vissute da Perruggini per quella che noi abbiamo definito un’opera compiuta e risolta, con quelle tredici composizioni strumentali unite a formare una tracklist che, a nostro modesto parere, andrebbe eseguita senza interruzioni, come da sempre il mondo classico ci insegna.
Lasciarsi ammaliare dal pianoforte di Mirko Signorile, dal contrabbasso di Giorgio Vendola, dal clarinetto di Andrea Campanella, che sostituiva più che degnamente Gabriele Mirabassi, presente su disco, e dai Modus String Quartet, che annoverano la viola di Teresa Laera, il violoncello di Luciano Tarantino e i violini di Serena Soccoia e Leo Gadaleta (che ha arrangiato tutti gli archi), e, last but not least, da Stefano di Lauro, che ha dato voce ai suggestivi commenti ai brani già trascritti su libretto, è stato più che semplice, quasi naturale, non solo per l’indiscussa maestria delle forze in campo, ma anche per la manifesta capacità di quel flusso impetuoso e mielato di note di raggiungere il cuore di ogni ascoltatore.
Eppure – lo confessiamo – non sono questi gli elementi che, seppur imprescindibili, hanno catturato indissolubilmente ed intimamente la nostra attenzione durante la performance live.
È accaduto, infatti, che dalla nostra postazione nella accogliente sala del Teatro Forma di Bari, straripante come non mai, abbiamo potuto rubare il frenetico ed armonioso movimento delle mani dell’autore che, nascosto ai più, occupando una quinta del palco e non il proscenio, probabilmente per assecondare la sua proverbiale timidezza, dirigeva i suoi musicisti / amici / complici: e, in un attimo, tutto ci è apparso ancor più chiaro e lampante.
Nel suo gesto ci è parso di cogliere tutto il significato del suo lavoro: la volontà di farne incommensurabile dono per chiunque si disponga alla condivisione; il desiderio di vederlo finalmente camminare sulle proprie gambe, come un padre sa fare con i propri figli; l’anelito stesso del volo che ne è alla base, alla radice, alla fonte limpida cui l’artista si è di certo abbeverato prima di affrontarne la scrittura.
E queste positive vibrazioni hanno avuto il loro inaspettato quanto esaltante epilogo quando quelle stesse mani hanno – fortunatamente per i presenti – impugnato le loro amate bacchette ed hanno accarezzato la batteria, che si insinuava, con un gusto davvero raro, nei due bis proposti, tra cui la splendida title track dedicata all’indimenticabile Davide Santorsola, prima della meritatissima ovazione finale.
Pasquale Attolico
foto tratte dalla pagina Facebook del Teatro Forma