“Perfect Trio” di Roberto Gatto a Bari per “Nel Gioco del Jazz”: perfetta alchimia tra il miglior jazz tradizionale e la visionaria sperimentazione elettronica

Oggi si può scrivere musica col computer, ma nella testa dei musicisti il computer è sempre esistito: essi potevano addirittura scrivere una sonata senza una sola idea originale, limitandosi a sviluppare “ciberneticamente” le regole della composizione.” (Milan Kundera)

Ammettiamolo: a gran parte dei cultori del jazz, soprattutto di quello più classico, si drizzano i capelli sulla testa quando sentono accostare al genere tanto amato la parola “elettrico”; a difesa degli stessi inamovibili estimatori, vi è anche da dire che, con le dovute e notissime eccezioni, l’intreccio è spesso stato inopportuno, se non riprovevole, un abbraccio mortale che non faceva bene ad alcuno, non al pubblico, non ai musicisti e, soprattutto, non alla musica. Accade talvolta, però, che si crei una perfetta alchimia tra il miglior jazz, saldamente ancorato alla tradizione, e la visionaria sperimentazione, opportunamente ed efficacemente utilizzata: è senza dubbio il caso del Perfect Trio di Roberto Gatto, Alfonso Santimone e Pierpaolo Ranieri, inserito nell’ottimo cartellone della rassegna “Adelante!” dell’associazione “Nel Gioco del Jazz” per un concerto, presentato come sempre – per nostra fortuna – dal direttore artistico Roberto Ottaviano, per l’occasione lasciatosi andare anche a gustosissimi aneddoti personali, che ha richiamato i numerosissimi fan nella sala dell’AncheCinema di Bari.

Pur essendo la formazione già da anni in attività, quel che traspariva immediatamente, sin dalle prime note della applauditissima performance, era la sostanziale libertà nella costruzione delle esecuzioni, finanche tangibile nella parte introduttiva di ogni brano, vale a dire nei momenti in cui le reiterazioni elettriche sembravano prendere radicalmente il sopravvento sulle atmosfere tradizionali, soprattutto grazie alle geniali architetture del pianoforte, del piano Rhodes e delle tastiere di Santimone, ma anche al basso elettrico di Ranieri, salvo poi essere richiamate, dalla batteria di Gatto, nei ranghi di immarcescibili evergreen che, visti sotto la lente di pregevolissimi e notevolissimi arrangiamenti, acquistavano nuova ed abbagliante luminosità. In altre parole, ci è parso che l’elettronica fosse utilizzata più come un preludio, una prolusione, un espediente per indirizzare l’animo dell’ascoltatore verso sonorità classiche che, seppur perfettamente conosciute dai nostri padiglioni auricolari e mandati a memoria dalle nostre menti, risuonavano ipnoticamente inedite, talvolta destrutturate, ma sempre coinvolgenti; le armonie intramontabili del jazz convivevano con gli accenti elettronici che, però, non apparivano mai pungenti e spigolosi, ma sempre accattivanti, pur nella loro libera anarchia ritmica e melodica.

Anche se la musica prodotta era visibilmente frutto di prolungate ed impegnative sessioni, nel concerto barese il flusso musicale risultava del tutto spontaneo, con Gatto e Santimone sugli scudi, padroni rispettivamente di una innegabile intensità propulsiva e di una avvincente ed anarchica varietà sonora, e Ranieri a – per lo più – supportarli con un efficacissimo tappeto ritmico; con questi presupposti, la reazione chimica tra gli elementi utilizzati appariva compiuta in più di una circostanza, come accadeva, ad esempio, con “Aquarela do Brasil” di Ary Barroso, “Evidence” di Thelonious Monk, “Lujan” di Henry Mancini, “Mood” di Ron Carter e Miles Davis, e, nello splendido bis, con “Prelude to a kiss” del mastodontico Duke Ellington, eseguita praticamente al rallentatore, con preziosissimi ceselli musicali del piano di Santimone. Le paure della vigilia, di ritrovarci di fronte a sonorità ruvide, se non ostiche, venivano completamente annullate e lasciavano il posto a piacevoli ed originali suggestioni musicali che componevano, davanti ai nostri occhi, una nuova dialettica, un discorso aperto che ha tutte le potenzialità per arricchirsi, ogni giorno, di nuove motivazioni, nuove sonorità, nuove sfide: è grazie a musicisti di tale specie se il jazz, anche in tempi di pressappochismo ed improvvisazione (nella peggiore accezione del termine) come quelli che dobbiamo sopportare, può continuare a confrontarsi con i miti del passato, senza demeritare. Un altro colpo messo a segno dagli amici di “Nel gioco del Jazz”, che ora si preparano all’annuale appuntamento con il Bari Hi-end cui parteciperanno con i concerti del Quintetto di Anthony Joseph (30 novembre) e del magnifico duo formato da Sarah Jane Morris ed Antonio Forcione (1° dicembre).

Pasquale Attolico

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