Beatrice Rana, stella di una serata memorabile della Stagione Concertistica della Fondazione Petruzzelli

Per sua natura la musica non può spiegare niente: né delle emozioni, né dei punti di vista, né dei sentimenti, né dei fenomeni della natura. Essa non spiega che se stessa.” (Ígor Fiòdorovich Stravinskij)

Ci sono eventi che riempiono di malcelato orgoglio il nostro petto di melomani; non vi nascondiamo che poter, nella medesima serata, godere di una nuova composizione del Maestro Michele Dall’Ongaro, appositamente creata su commissione della Fondazione Petruzzelli e dall’autore dedicata al nostro sovrintendente Massimo Biscardi, nonché della maestria pianistica di Beatrice Rana, purosangue pugliese giustamente impostasi nel mondo, è stato per noi motivo di assoluta fierezza, non fosse altro che per la gioia di rivedere la nostra terra innalzata a quei vertici musicali che da sempre merita.

L’occasione ci è stata offerta dal nuovo appuntamento della Stagione Concertistica 2019, il primo dopo la pausa estiva, della Fondazione, che ha approntato un programma di tutto rispetto, affidandolo all’ormai indiscutibile padronanza esecutiva dell’Orchestra del Teatro Petruzzelli, magistralmente diretta da Sascha Goetzel, il direttore viennese che ha fatto di una appassionata capacità di rileggere gli spartiti, donandovi nuovi e più vivi colori, la sua riconoscibilissima cifra stilistica.

The Fairy Circles, la nuova composizione del Maestro Dall’Ongaro, apprezzatissimo in qualità di compositore e musicologo ma anche come conduttore radiofonico e televisivo, ha aperto il concerto: poco più di dieci minuti di pura magia, per cui l’autore, presente personalmente, si è ispirato al significato che le leggende nordiche europee assegnano a quei particolari anelli formati da erbe e funghi che si creano sul terreno, tra suoni che richiamano il risveglio della natura, quell’attimo sospeso in cui tutto può accadere, in cui il credibile e l’incredibile, il possibile e l’impossibile, il definito, l’indefinito e l’indefinibile convivono e che, per una volta, grazie all’intuizione compositiva del musicista romano, ci ha visti affascinati spettatori.

Il Concerto n.3 op.26 in Do maggiore per pianoforte e orchestra, il più famoso ed eseguito tra quelli composti da Sergej Prokof’ev, ha avuto – come detto – in Beatrice Rana una impareggiabile protagonista. Composto tra il 1917 e il 1921, il terzo concerto per piano, eseguito per la prima volta a Chicago con il compositore russo al pianoforte, pur risentendo ancora dell’influenza di Haydn, si distinse per innovazione espressiva ed energia ritmica; l’inserimento di momenti musicali di assoluta difficoltà esecutiva, come il noto passaggio dal primo movimento che è stato definito dal musicista, insegnante e produttore Rick Beato “il più grande riff di tutti i tempi scritto con solo i tasti bianchi”, lo rendono ancora oggi una prova dannatamente impegnativa per qualunque pianista, richiedendo doti virtuosistiche eccezionali. E Beatrice Rana non ha deluso il pubblico che assiepava in ogni ordine il nostro Politeama, regalandoci una performance impeccabile che ha messo in luce tutto il suo sterminato e virtuosistico talento, padrona assoluta di quel complesso flusso di note che si sviluppa fluido, appassionato, romantico, malinconico, ipnotico, impetuoso, che la Rana domina da par suo, trascinandoci con lei in una seducente e vorticosa caduta libera armonica e cromatica, sia che si produca in frammenti in solo, sia che interagisca in modo strabiliante con l’Orchestra del Teatro Petruzzelli, che si dimostra, come sempre, all’altezza dell’impegno, anche perché sollecitata dall’energica bacchetta di Goetzel.

Ed è stato proprio l’ensemble orchestrale a divenire protagonista dell’ultima tranche del concerto, vale a dire l’esecuzione de L’uccello di fuoco di Ígor Fiòdorovich Stravinskij nella versione definitiva, quella del 1945. Infatti, il compositore russo realizzò tre versioni della partitura per il balletto in due scene commissionatagli dai Balletti Russi di Djaghilev: una nel 1911, di soli cinque brani, sostituita nel 1919 da una selezione di sei brani, differenti dalla prima, che rimane a tutt’oggi la più conosciuta ed eseguita, e l’ultima, quella eseguita al Petruzzelli, nel 1945, che comprende altri sei brani oltre a quelli presenti nella suite precedente, in cui Stravinskij riversò tutta la sua creatività, unitamente alla sua devozione per Čajkovskij, Rimskij-Korsakov e Debussy, che, proprio in quel frangente, lo definì meglio di chiunque altro: “Recentemente ho visto Stravinsky. Dice: il mio Uccello di fuoco, la mia Sagra, come un bambino direbbe, la mia trottola, il mio cerchio. È proprio un bambino viziato che ogni tanto mette le dita nella musica. Si aggira come un giovane selvaggio, con cravatte da pugno nell’occhio, baciando la mano alle signore, mentre al contempo pesta loro i piedi. Da vecchio, sarà insopportabile, o meglio non sopporterà nessuna musica; ma per ora è straordinario!”; effettivamente, nel tentativo di dare corpo musicale alla contrapposizione di due mondi differenti, quello magico dell’Uccello di fuoco e di Kašej e quello umano di Ivan e delle principesse, utilizzando un accentuato cromatismo, con connotazioni orientaleggianti per i primi e motivi diatonici legati a suggestioni ciakovskijane per i secondi, Stravinskij ha probabilmente creato il suo capolavoro. Ed il connubio Goetzel / Orchestra del Petruzzelli restituisce in modo sublime tutta la potenza e l’ardore della partitura stravinskijana, mettendo in luce la pura timbrica di ogni strumento in una autonomia del dinamismo ritmico che avrebbe certamente fatto felice il compositore e che, per quel che ci riguarda, ha reso ancor più grandiosa e luminosa una serata memorabile.

Pasquale Attolico

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