La settimana sportiva: l’analisi di Bari – Sampdoria

Confesso che ho temuto il 207esimo gol di Massimo Coda, il primo della sua carriera al San Nicola. L’intervista rilasciata in settimana dall’attaccante alla Gazzetta dello Sport, poi riportata dal sito “La Bari Calcio” – in cui ricordava di non aver mai segnato nello stadio barese – sembrava l’ennesimo indizio di quella che avrebbe potuto trasformarsi in una classica serata “alla Bari”. La legge di Murphy era lì, pronta a colpire: “se una cosa può andare storta, andrà storta”. E invece no. Il 207esimo gol non è arrivato, e il destino si è fermato a metà strada: il Bari non ha risolto la crisi della Sampdoria, ma le ha regalato comunque una boccata d’ossigeno. Tanto basta per salvare la panchina di Donati e per confermare, ancora una volta, la vocazione crocerossina di questa squadra. Figuriamoci se un Mantova o uno Spezia avrebbero fatto altrettanto. Solo il Bari. Sempre e soltanto il Bari.

La partita è stata sin dall’inizio avara di emozioni, spezzettata da falli e interruzioni, con poco calcio e molte imprecisioni. La Sampdoria arrivava a Bari con zero punti e quattro sconfitte consecutive, il Bari ne aveva uno solo. Il confronto tra penultima e ultima in classifica non poteva certo promettere scintille, ma nessuno immaginava uno spettacolo tanto grigio. Un punto ottenuto dalla penultima contro l’ultima: sembrava un’opera minore, una “prima” di provincia pronta a ricevere i fischi del loggione. del resto, inutile girarci intorno: le due squadre hanno confermato di meritare la loro posizione in classifica, giusta e sacrosanta, senza appello. Almeno per quello visto fino adesso.

Il Bari ha fatto troppo poco per vincere, confermando di non essere ancora una squadra temibile. Anzi, fino a questo momento sembra una delle peggiori del campionato. In altre gare – come con Venezia e Monza – si era visto almeno un accenno di proposta, stavolta no. Gioco lento, prevedibile, privo di idee. La difesa fragile, il centrocampo inconsistente, la trequarti inesistente, e l’attacco retto solo da un colpo estemporaneo di Moncini: un gol da attaccante vero, un lampo in un cielo nero. Per il resto, il taccuino resta desolatamente vuoto.

Eppure qualcosa si muove, ma solo nei piedi di Castrovilli: unico in grado di accendere la luce, unico a regalare un brivido. Ogni volta che cade a terra, il pubblico – me incluso – trattiene il fiato come se stesse guardando una tragedia greca, invocando Marte affinché abbia pietà di lui facendolo rialzare indenne. Senza di lui il Bari sarebbe ancor più smarrito. Verreth, che dovrebbe essere il cervello della squadra, è spento, e quando il regista non orchestra, l’intera sinfonia tace. Per dirla con Gustav Mahler, “la tradizione non è adorare le ceneri, ma custodire il fuoco”: nel Bari di sabato non si è vista né fiamma né brace.

Caserta ha provato a cambiare modulo, a tamponare l’emorragia di sconfitte, ma non è bastato. Il Bari invece di crescere, partita dopo partita, regredisce. È questa la vera preoccupazione. In Serie B serve coraggio, pressing alto, aggressività, soprattutto in casa. Al San Nicola, invece, ha regnato il nulla. L’infortunio di Vicari ha peggiorato la serata, ma non può essere un alibi: la squadra non ha identità, non ha cattiveria, non ha un gioco.

Per la Sampdoria, al contrario, questo punto pesa eccome. È la prima sosta in una lunga apnea, un po’ come il respiro affannoso di un naufrago che riesce a riaffiorare. Non risolve la crisi, ma la sospende. E il merito, o la colpa, è del Bari.

Alla fine, resta il sospetto amaro che tutte le squadre di questo campionato possano battere i biancorossi senza troppa fatica. Non ci sono imbattibili, certo, ma il problema è che non si vede un Bari che proponga gioco, che faccia intravedere una via d’uscita. Per adesso la realtà è crudele: il Bari non è ancora squadra, forse nemmeno crisalide. È un cantiere aperto e fermo, in attesa di materiali che non arrivano. Prima mancavano i fornitori, poi sono arrivati i dazi di Trump, subito dopo le guerre, le elezioni, poi il fermo biologico, poi ancora il Papa che ci lascia, e giù nuove emergenze, nuove giustificazioni: insomma, c’è sempre un problema per vedere il cantiere riprendere a lavorare. E nel caso del Bari somiglia più a una condanna che a una speranza.

Forse tra un mese parleremo d’altro, ma oggi il quadro è chiaro: questa è stata una delle partite più brutte degli ultimi anni. Il Bari non cresce, non entusiasma, non propone. Eppure il tempo scorre. “Il tempo è un bambino che gioca con i dadi”, scriveva Eraclito. Qui, però, i dadi sembrano sempre truccati: a favore degli altri, mai del Bari.

Massimo Longo
Foto concessa da ©SSC Bari

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