Questa ‘Pioggia Viola’ è ancora nostra: Emilio Solfrizzi ed Antonio Stornaiolo fanno rivivere Toti e Tata in quattro mitiche notti alla Fiera del Levante di Bari

Come glieli spieghi, Toti e Tata, a chi non li ha vissuti? Come fa, chi non era a Bari e provincia negli Anni Novanta, a capire cosa sono stati?

Specialmente con le finestre aperte, nella canicola della controra, era un must sentire le loro puntate echeggiare nelle strade, per la messa in onda delle 14, su TV che più locali non si poteva. E gli stessi televisori riecheggiavano all’ora di cena, per le scale dei palazzi, da quelli signorili a quelli popolari, si attendeva religiosamente la replica. Per quella in seconda serata, io ero troppo piccola. D’altronde, non c’era YouTube, nessun Instagram o TikTok a fare da tritacarne per le mitopoiesi meteoriche dei giorni nostri. Per guardare i tuoi miti, dovevi essere davanti alla TV, precisamente a quell’ora, sperando che l’antenna non facesse le bizze.

Prima di tirare fuori termini come guerrilla e instant marketing, la città disseminata di volantini per il rapimento di Cosè Cosè aveva contribuito a consacrare alla storia della città una comicità che, sulle solide basi dello studio e delle competenze, ramificava talenti, personaggi, modi di dire, di sembrare, di giocare con la baresità.

Ecco, la baresità. Nella Bari che era avamposto per l’ondata migratoria albanese, un programma come Teledurazzo era lì per dimostrarci che con gli albanesi condividevamo uno sfascio sociale che nessuna TV commerciale poteva più camuffare, una volta arrivati sulla banchina del porto: malaffare, illegalità, sporcizia, spirito levantino, scena artistica ruspante erano assieme irrisi e celebrati da Toti e Tata, e dal lavoro autoriale imprescindibile di Gennaro Nunziante, contribuendo, con una risata che ha la forza di un piccone, al risveglio di una coscienza collettiva che di lì a poco avrebbe visto la Puglia diventare, da terra apparentemente incolta, una cartolina per turisti e set cinematografici da tutto il mondo.

Era una favola, certo. Poi, a un certo punto, quando con gli Oesais si era raggiunto un livello altissimo, da raccontare agli amici e ai parenti di fuori con le musicassette registrate e i bootleg nelle autoradio (il figurone da secchiona che facevo io, ai falò e alle pizzate in campagna, cantando Oesais e Oasis in doppia lingua, non aveva prezzo), ci siamo punti con il fuso dell’abbandono. Di punto in bianco, Toti e Tata non c’erano più, ‘uccisi’ dai loro alter ego Emilio Solfrizzi ed Antonio Stornaiolo. Le TV locali hanno iniziato a trasmettere all’infinito le loro repliche, o altre trasmissioni belle, sì, ma niente a che vedere con “Televiscion”, con “ExtraTV”, con la parodia dei Giochi del Mediterraneo del 1997 a Bari. La favola era finita. Noi ci eravamo addormentati davanti a una TV che era di colpo scialba e ordinaria.

Un bacetto ce lo avevano dato a San Silvestro 2007. Un altro, con Il Cotto e Il Crudo e con Tutto il mondo è un palcoscenico. Un altro ancora, al Primo Maggio di Taranto nel 2019, e ancora alla Fiera del Levante dello stesso anno. Abbiamo sognato, sì, ma non ci siamo svegliati. Ci voleva qualcosa in più. Per questo, quando hanno annunciato un concerto alla Fiera del Levante, la stessa data in cui gli Oasis avrebbero dato via al reunion tour partendo da Cardiff, non c’è stata storia. L’incantesimo si è finalmente spezzato, e al di là di qualche nostro acciacco, forse dovuto al sonno prolungato, e risolvibile con una bella birra ghiacciata, lo spirito è intatto.

Chi munito di parrucche e occhialini da sole d’ordinanza, chi con una delle t-shirt che ormai sono memorabilia, ma tutte e tutti, quattro generazioni di fan, dotate di un entusiasmo arretrato, quasi atavico, che non si può spiegare a chi non lo capisce, eravamo tutti pronti alla Fiera del Levante. Le serate sold out, nel frattempo, alla Radio Norba Arena, sono diventate quattro.

Ecco gli Oesais salire sul palco, con una formazione capeggiata da Michele Marmo alle chitarre (l’”Attack, Mcheul” invocato per iniziare le canzoni). Tra nuovi successi, tra cui “U mutue a trent’ann”, struggente come la “Stop crying your heart out”, e le indimenticabili “Ianna”, immortale come “Live Forever”, o “Nu g’ama spusaj” che come “Don’t go away” stimola il tappeto dei flash del cellulare, impossibile restare fermi senza cantare a squarciagola, finanche i rappresentanti delle istituzioni non resistono. Ora come allora, popolani e signori urlano assieme su temi come corna, figuracce con le ragazze, amori finiti con debiti annessi, e ci sta pure un amore arcobaleno con la bella Teresa.

Però, le standing ovation partono quando arriva il superospite della serata, condotta magistralmente da Mauro Pulpito che non poteva esimersi da un successo cui lui stesso ha contribuito in maniera costante: Piero Scamarcio, con lo Scippatore di Emozioni, che spiega di essere sparito in quanto, per dirla alla Noodles e alla Proust, in questi anni è andato a letto presto, ma per motivi giudiziari.

E giù altri successi: “Io ti amo, e chiacchiere non ce ne vogliono”, “Matrimonio metafisico” e “Figlio mio” (medonn medonn medonn, il titolo originale era Kindertotenlieder), su cui Piero, vedendoci tutti preparati sul testo, ammette commosso che siamo tutti figli suoi. Non da meno le sue cover uniche del “Messaggio nella bottiglia” dei Police, della “Soddisfazione” dei Rolling Stones, ma il delirio avviene sulla stellare “La Pioggia Viola”.

Di riaddormentarci, non ne vogliamo sapere. Sogniamo il San Nicola (e io sogno altri successi come “Mo è chi è”, “Sambaolo” o qualcosa dei Sentibilissimi), perché noi li amiamo. E chiacchiere non ce ne vogliono.

Beatrice Zippo
Foto dai profili Facebook di Fiera del Levante e Piero Scamarcio

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