Massive Attack, Primal Scream, St. Vincent e molto altro: l’edizione 2025 del ‘Medimex – International Festival & Music Conference’ ha restituito l’alto valore Politico alla grande Musica

Il mondo in cui viviamo oggi è ancora più oscuro: il clima politico è soffocante, l’opera umana ha reso fuori controllo il cambiamento climatico, la società è sempre più confusa e complessa. Le disuguaglianze sono cresciute, i conflitti non sono mai finiti, mentre la crisi finanziaria ha alimentato il nazionalismo e la paranoia contro l’integrazione. Guardando la Storia era piuttosto prevedibile, come se ci fossero degli schemi che si ripetono regolarmente. Solo che oggi siamo otto miliardi di persone, quindi le cose sono ancora più complicate.” (Robert “3D” Del Naja – Massive Attack)

Tornare a casa dopo aver assistito al concerto più tenacemente Politico degli ultimi anni (decennio o addirittura ventennio), accendere la tv in attesa che l’adrenalina faccia il suo corso e decida di scendere a livelli più sopportabili concedendoti qualche meritata ora di sonno e scoprire di essere nel bel mezzo della notte più buia grazie al Presidente degli Stati Uniti d’America che ha di fatto aggiunto un fondamentale tassello alla ‘terza guerra mondiale a pezzi’ inopinatamente, deliberatamente ed improvvisamente decidendo di bombardare l’Iran a causa della supposta detenzione di armi atomiche da parte di quest’ultimo: basterebbe questo a rendere indelebili le emozioni che ci ha trasmesso l’edizione 2025 del Medimex – International Festival & Music Conference, il progetto per lo sviluppo del sistema musicale regionale promosso da Puglia Culture nell’ambito delle azioni di Puglia Sounds e realizzato in collaborazione con Regione Puglia, una ‘magia collettiva‘ – come la definisce giustamente il suo deus ex machina Cesare Veronico – che da ormai quindici anni è tra i più profumati e seducenti fiori all’occhiello dell’estate musicale italiana e non. E questo era solo il finale: proviamo a riavvolgere il nastro e a dare uno sguardo più d’insieme dell’intera manifestazione.

A Taranto si sono succeduti settanta appuntamenti in cinque giorni che sarebbero tutti degni di menzione; per brevità, ricorderemo la neonata partecipazione – a titolo gratuito – nella direzione artistica del Festival di Antonio Diodato e Michele Riondino per la realizzazione rispettivamente de Le Strade del Mediterraneo, il progetto speciale che ha coinvolto La Niña, Bab L’Bluz e Magalí Datzira, e del prestigioso panel La Musica salverà il Mondo?. Degna di nota – ed apprezzatissima dal pubblico – la mostra installata al MArTA Amy Winehouse before Frank by Charles Moriarty, con foto mai esposte in Italia, così come il video mapping On the road compilation di Roberto Santoro e Blending Pixels. E poi un fitto calendario di showcase, talk, incontri, film e presentazioni, attività professionali e scuole di musica, attività seguitissime da una pletora di operatori del settore e spettatori sempre più numerosa e internazionale, con arrivi da Inghilterra, Francia, Germania, Austria e Svizzera.

Naturalmente il clou della manifestazione va individuato nelle due serate che hanno avuto come splendida ed ormai consueta cornice la Rotonda del Lungomare di Taranto. Al netto delle sempre gradite ‘aperture’ di giovani gruppi locali (nello specifico dei Comrad e di Kyoto), a dare fuoco alle polveri è stata la magnifica St. Vincent, giunta sul palco del Medimex per presentare “All born screaming”, la sua ultima fatica completamente autoprodotta; ebbene, è bastato un attimo per comprendere che saremmo stati investiti da una bomba dagli effetti devastanti, da uno tsunami che avrebbe generato un’onda rock di proporzioni ciclopiche; l’artista statunitense, dismessi i precedenti panni che l’hanno portata a collaborare con gente del calibro di David Byrne, si presenta ai nostri occhi – e soprattutto alle nostre orecchie – come fosse un’Alice in acido sortita dai peggiori incubi di Tim Burton, un’anima libera che ha tagliato ponti col passato e redini del mercato, che può concedersi di spingere sull’acceleratore per raggiungere un orizzonte musicale ancora puro, inesplorato, sconosciuto a gran parte – se non a tutti – di quei suoi colleghi che ‘campicchiano’ collocandosi nell’incerto presente che – purtroppo – ci è dato in sorte di vivere. La sua è una performance tutta di petto, se non di pancia, che ci offre l’immagine di una personalità che, seppur appaia già ben chiara, sembra sempre in evoluzione, in divenire, in progressione; non ce ne vogliano gli altri artisti ospiti, ma il suo spettacolo (perché di questo si è trattato, a tutti gli effetti) è stata la cosa più sorprendente, seducente ed eccitante di questa edizione.

La palma della trasmissione di positive vibrazioni, di gioia allo stato puro, di calviniana leggerezza e di rinfrancante divertimento spetta, invece, senza dubbio ai Primal Scream, giunti al Medimex 2025 sulle ali della pubblicazione nel 2024 dell’album “Come Ahead”, il primo di inediti dopo otto anni e soprattutto dopo la tragica morte di Martin Duffy nel 2022. Bobby Gillespie & C. appaiono vivi come non mai, finalmente tornati ai loro livelli più alti, tra i pochi ad essere ancora in possesso della pozione magica che si ottiene miscelando (e forse anche agitando) funky, soul, rock, disco, gospel, blues e qualche altra segretissima diavoleria. Ecco uno dei casi in cui il déjà vu è benedetto da Dio e dagli uomini, in cui l’operazione revival – che pure fa lapalissianamente capolino sullo sfondo di ogni brano – risulta vivace, sensata, necessaria a ribadire un concetto, un’idea, un’ispirazione che fu alla base di una immaecescibile esperienza che ha grandi radici nel passato ma che continua, forse inaspettatamente, ad allungare i suoi rami nel presente e nel futuro. Ed a pensarci bene – ma sicuramente questo non sarà sfuggito al lungimirante Veronico in fase di progettazione – anche il set dei Primal Scream può dirsi a suo modo Politico, proprio in quella affannata urgenza di decodificare nuovamente il codice d’accesso di un genere musicale che sa ancora esaltare ed esaltarsi, di recuperare un flusso fortemente vitale che dal palco giunga sino alla platea attraversandola, sollevandola, sballottandola e stimolandola alla perenne ricerca dei punti ancora vivi nelle coscienze e nei corpi troppo a lungo dormienti.

Un discorso che, naturalmente, ci porta sino all’indiscusso apice di questa edizione: l’esibizione dei Massive Attack è la più corretta esternazione della abusata espressione che vuole taluni concerti “impossibili da raccontare”, una di quelle cose per cui non si può non far orgogliosamente ricorso al più semplice ed autoreferenziale “io c’ero”. La perfetta costruzione di un humus ibrido quanto fertile su cui non solo camminare a piedi nudi ma sdraiarcisi nell’attesa di trasformarci noi stessi in esseri fertili e fertilizzanti, di uno stato liquido e fluido in cui immergersi dimentichi anche di respirare, di un organismo gassoso che ci penetra sino a mutare completamente e radicalmente il nostro stesso stato carnale, non dà alcuna possibilità di scampo agli ottomila e più accorsi sul Lungomare di Taranto, nemmeno a quei – pochi per fortuna – che avevano equivocato sull’evento, pensando di ritrovarsi davanti ad una band più avvezza ad una psichedelia commerciale. Il mondo dei Massive, invece, tende sempre più a creare una trance ipnotica e fluttuante che attraversa, annullandolo, il delta temporale e la distanza retorica, dimentico, se non refrattario o addirittura incapace, anche di creare una continuità, una transitorietà, un fil rouge riassumibile a posteriori, basandosi su di una realtà artificiosa – ma che non tradisce artificiosità – con l’unico scopo di lanciare un messaggio nella bottiglia che possa trasmettersi da naufrago a naufrago sino a creare nuovamente una comunità viva e pulsante.

Robert Del Naja, Grant «Daddy G» Marshall e compagni ne hanno per tutti: Elon Musk, Vladimir Putin, Benjamin Netanyahu, Donald Trump e affini, un patchwork di disumanità che contrasta in modo più che netto con le splendide voci di Horace Andy, Deborah Miller e, soprattutto, di Elizabeth Fraser, che, nel finale, ci regalerà una versione di Teardrop che non dimenticheremo sino al nostro ultimo alito di vita. Scorrono numeri, dati, notizie e, ça va sans dire, grande musica che conducono il pubblico in un’ideale danza darwish da cui nessuno potrà più liberarsi, tutti adepti di uno straniante rito iniziatico che non conoscerà soluzione di continuità. E al termine, lì dove tutti ci aspettavamo restassero “sparsi disordinatamente i vuoti a perdere mentali abbandonati dalla gente”, non c’era più nulla da raccogliere e mandare al macero perché ognuno di noi si era portato a casa il proprio pezzo di storia, di indignazione, di rabbia, di vergogna, di tanto altro e, su tutto – mi ripeto – di grande musica.

Medimex tornerà a Taranto dal 16 al 20 giugno 2026 (anche se, a mio modesto parere, i tempi sarebbero più che maturi per una edizione winter): segnatevelo sin d’ora e non perdetevelo.

Pasquale Attolico

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