
Bari, un punto amaro sulla Via Emilia: il canto infinito della sofferenza biancorossa
La vittoria contro lo Spezia è stata un lampo fugace, un’illusione che si è dissolta rapidamente nel grigiore di una prestazione opaca contro la Reggiana. Domenica, lungo la Via Emilia, il Bari ha mostrato ancora una volta il suo volto più inquietante: quello di una squadra incapace di trasformare la superiorità numerica in forza, il possesso palla in pericolo, e la qualità sulla carta in sostanza concreta. Una squadra che, anziché dominare, si è fatta sopraffare dagli eventi, quasi vittima delle sue stesse insicurezze.
Il Bari visto a Reggio Emilia ricorda la fragilità della “Ginestra” leopardiana: un fiore che tenta di resistere sul vulcano, simbolo di vita precaria e fragile equilibrio. I biancorossi, come quel fiore, mostrano una parvenza di vitalità, ma si spezzano di fronte alla minima difficoltà. Possesso palla sterile, mai un tiro nello specchio, poche idee e ancora meno coraggio. Il dominio del Bari è stato puramente illusorio, privo di quella sostanza necessaria per costruire qualcosa di duraturo.
Eppure, come ammoniva Lavoisier, “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Il Bari deve trovare il modo di trasformare quel possesso palla in occasioni, quella superiorità numerica in vantaggi concreti. Ma domenica, di trasformazione, non c’è stata traccia. E questo è il punto più preoccupante.
Dopo l’espulsione di Lucchesi, ci si sarebbe aspettati un Bari arrembante, capace di schiacciare la Reggiana nella propria metà campo. Invece, paradossalmente, sono stati gli emiliani, pur in dieci uomini, a mostrare più personalità e organizzazione. Una squadra che avrebbe dovuto soccombere sotto i colpi di giocatori come Lasagna, Benali, Falletti e Sibilli, è riuscita invece a contenere i biancorossi con ordine, trovando persino il modo di creare qualche pericolo. La Reggiana ha messo in campo orgoglio e carattere; il Bari, al contrario, si è perso in un approccio remissivo e in un possesso palla tanto infinito quanto inconcludente.
Il momento più emblematico della partita è stato il finale: quando Bellomo ha tentato un tiro in acrobazia al 96’, debole e facilmente controllabile, è apparso chiaro a tutti che il Bari non aveva mai davvero creduto nella vittoria. Una scena che sintetizza perfettamente l’intera gara.
Essere tifosi del Bari significa vivere un’esistenza ai margini della speranza e del tormento, un eterno oscillare tra sogni di grandezza e cadute rovinose. Come nella poetica del “fanciullino” di Pascoli, ogni piccolo segnale positivo – come la vittoria contro lo Spezia – riaccende nei tifosi l’entusiasmo, l’illusione di un futuro radioso. Ma basta poco, un pareggio scialbo come quello di domenica, per far riemergere le nuvole dense di pioggia. È una costante storica, un destino quasi ineluttabile: i tifosi del Bari sembrano nati per soffrire.
I problemi del Bari sono molteplici e stratificati. In primis, manca un attaccante capace di fare la differenza negli ultimi metri. Lasagna, ormai, sembra aver perso quella cattiveria sotto porta che lo aveva reso un attaccante temibile, mentre Sibilli alterna qualche sprazzo di qualità a momenti di superficialità irritante. Serve un bomber vero, anche pescando in Serie C, qualcuno che possa capitalizzare il tanto possesso palla con gol pesanti.
Anche il centrocampo mostra crepe evidenti. Quando Benali non è al meglio, la squadra perde ritmo e ordine, rivelando una preoccupante dipendenza dal suo rendimento. Vicari e Maiello, pur esperti, non sono riusciti a garantire la solidità necessaria, mentre Falletti continua a essere un’ombra di quello che ci si aspettava. Persino Dorval, solitamente tra i più vivaci, è apparso appannato, segno che forse i carichi di lavoro invernali hanno lasciato strascichi fisici e mentali.
Ma il vero enigma resta l’atteggiamento. Il Bari è sembrato più impaurito di perdere che desideroso di vincere. La superiorità numerica non è stata mai sfruttata a dovere, e quella paura di subire gol – un classico per chi segue questa squadra – ha finito per condizionare ogni scelta, trasformando una potenziale opportunità in un incubo collettivo. Longo, pur essendo un tecnico esperto e preparato, dovrà lavorare molto sulla mentalità di questo gruppo, infondendo quella convinzione che oggi manca del tutto.
La partita è stata macchiata anche da episodi deplorevoli sugli spalti, con insulti razzisti rivolti a Dorval e commenti sessisti contro l’assistente donna. Una brutta pagina per una città come Reggio Emilia, storicamente riconosciuta per il suo impegno contro il razzismo e per i suoi valori progressisti. Un episodio che, pur isolato, non può essere ignorato, perché il calcio – come ci insegna Nelson Mandela – ha il potere di unire e ispirare, non di dividere.
Il Bari si trova a un bivio: o si trasforma, o rischia di rimanere prigioniero della mediocrità. La stagione è ancora lunga, e il mercato di gennaio rappresenta l’ultima occasione per colmare quelle lacune strutturali che oggi appaiono evidenti. In fondo, a proposito di mercato, il Bari di Magalini è assolutamente sovrapponibile al Catanzaro di Polito come punti: 28 loro, 28 il Bari. Ma, più di tutto, serve un cambio di mentalità. Come scriveva Italo Calvino, “il valore di un viaggio non è vedere nuovi posti, ma avere nuovi occhi”. Il Bari deve trovare quegli occhi nuovi, quella capacità di vedere il gioco con più coraggio e determinazione.
Un pareggio può essere un punto di partenza o un’ennesima occasione persa. Sta al Bari decidere quale strada prendere. I tifosi, intanto, continuano a soffrire, ma anche a sperare, perché il vero amore – quello biancorosso – non conosce limiti, neanche di fronte a un’altra deludente domenica. E i 1700 tifosi baresi giunti da ogni dove – da Bari incluso – ne sono l’ennesima dimostrazione che tante volte passa in secondo piano.
Massimo Longo